Cosa sono i motori di ricerca?
Vi riporto qui la definizione di Wikipedia: un motore di ricerca (in inglese search engine) è un sistema automatico che analizza un insieme di dati spesso da esso stesso raccolti e restituisce un indice dei contenuti disponibili classificandoli in base a formule statistico-matematiche che ne indichino il grado di rilevanza data una determinata chiave di ricerca”.
Voglio prendere questa definizione come base di partenza per esaminare da vicino l’eterno conflitto tra Google ed i Marketers di tutto il mondo. Ma arriviamoci per gradi ed esaminiamo lo stato delle cose.
Un motore di ricerca, come abbiamo visto, è un “sistema automatico” che, sulla base di una specifica richiesta, fornisce dei risultati prendendoli dai propri archivi. I motori di ricerca sono sicuramente il mezzo più usato dai navigatori del web.
Oggi “IL MOTORE DI RICERCA” è Google che gestisce oltre l’85% del traffico, inseguito, con poca fortuna, da Yahoo ed MSN che si dividono il restante 15%, ma non è sempre stato così e non è detto che così sarà per sempre.
In precedenza il re delle ricerche era Yahoo (prima che Google lo spodestasse) e prima ancora Altavista ed Infoseek.
Google nacque, tra mille difficoltà economiche, da un ragionamento piuttosto semplice. “Più fornisco risultati rilevanti per una ricerca, più è facile che quel visitatore torni a trovarmi e sparga la voce”. Quindi, nella “Vision” di garantire un servizio migliore di reperimento delle informazioni sul web, rispetto al servizio offerto dai concorrenti, Google è partito per una strada che fino ad oggi non ha mai mollato.
Quello che ha quindi permesso a Google di diventare quello che oggi è stata LA QUALITA’ DELLE INFORMAZIONI RESE!
Prima dell’arrivo di Google, il concetto di posizionamento non esisteva, i motori di ricerca restituivano, sulla base delle richieste degli utenti, risultati molto meno “intelligenti”, ovvero risultati che venivano fuori in base ad algoritmi abbastanza rudimentali.
Google ha investito in tencologia (e continua a farlo in maniera massiva) preoccupandosi non solo di ricercare le “parole chiave”, ma di capirne il significato anche in relazione al contorno nel quale quelle parole erano inserite.
In buona sostanza come funzionano oggi i motori di ricerca e Google in particolare?
La ricerca avviene attraverso l’uso di 4 distinte funzioni. Il Crawl, l’Index, l’Organizzazione ed il Riporto dei risultati. Con il Crawling, Google invia sul tuo sito uno spider (ragno) che raccoglie dei dati e li trasmette ad un Database che li raccoglie (Index) e, attraverso algoritmi matematici, li “Organizza” nel modo migliore. I risultati vengono infine riportati nella Home page di Google.
Fornendo quindi risultati sempre più rilevanti in relazione alla ricerca compiuta, Google ha innescato un marketing virale che, sulla base del passaparola degli utenti, lo ha portato dov’è ora.
Oggi Google.it conta circa 300 milioni di utenti l’anno, ed il fatturato lordo del colosso americano per il 2011 è stimato in oltre 35 miliardi di dollari (più del doppio del fatturato del 2007)!
Ma da dove arrivano tutti questi miliardi di dollari visto che Google non vende prodotti ma offre un servizio gratuito?
Oltre il 95% degli italiani che accedono ad internet riconoscono i motori di ricerca come lo strumento più efficace per poter trovare informazioni, mentre, per quasi l’85% degli italiani, i motori di ricerca sono lo strumento principe da usare prima di procedere ad un acquisto (indipendentemente se esso sia da fare on line o off line). Quest’ultimo è il dato più importante di tutti, ed è il dato per il quale Google (che ci ha visto molto lungo) ha investito e continua ad investire sulla qualità dei risultati.
Se vi fate due conti, infatti, l’85% di 300 milioni di utilizzatori corrispondono a 255 milioni di clienti che cercano qualcosa da acquistare! I fatturati arrivano quindi dai clienti Adwords! Ma chi sono i clienti Adwords e perchè pagano?
I risultati resi dal motore di ricerca si chiamano risultati “organici”, e sono i risultati che, grazie agli spider ed agli algoritmi di cui parlavo prima, meglio dovrebbero soddisfare la richiesta dell’utente che ha effettuato la ricerca. E’ scientificamente provato che oltre l’80% degli utenti clicca sui risultati che appaiono nei primi 3-4 posti della pagina di ricerca restituita, ed è proprio da questa prova scientifica che nasce il fatturato di Google.
ecco cosa puntano i nostri occhi quando fanno una ricerca
Sono molte infatti le Aziende che vogliono apparire in posizione tale da essere ben visibile a quegli oltre 250 milioni di potenziali clienti.
Queste Aziende sono i clienti Adwords, ovvero inserzionisti che pagano per vedere le loro pubblicità in prima linea, anche se tra i “risultati sponsorizzati”, e Google guadagna ogni volta che qualcuno clicca su quelle sponsorizzazioni.
Oggi peraltro Google ha reso la cosa ancora più appetibile, in quanto, se inizialmente i collegamenti sponsorizzati apparivano solo sulla colonna
Didtinzione tra risultati organici e sponsorizzati
di destra della home page di google, ora vengono cedute anche le prime 3 posizioni della colonna centrale (colorate con uno sfondo rosa spesso così poco visibile da ingannare quasi il visitatore).
Ma possono i Marketer sempre pagare per apparire nella prima pagina di Google? Ovviamente no!.. ed è proprio da questa necessità che nasce il SEO! Attraverso il SEO infatti i marketer studiano e cercano di capire il funzionamento dei motori di ricerca al fine di sfruttare a loro vantaggio i meccanismi di indicizzazione per apparire nei primi posti dei risultati.
Sembra una lotta impari, i 35 miliardi di dollari di fatturato di Google contro marketer come noi che al confronto di quella montagna di dollari sembriamo quattro scalzacani che a mani nude cercano di fregare i sofisticatissimi spiders che periodicamente visitano i nostri siti.
Ma il risultato non è affatto scontato per una semplice ragione.. Gli spider dei motori di ricerca, per quanto sofisticati, sono sempre macchine.. e mi piace pensare che l’intelligenza umana valga sempre qualcosina in più! Insomma un vero duello della serie Davide contro Golia.
Google per evitare “fregature” fornisce oltretutto delle regole ben precise per i webmaster, regole che se non vengono rispettate possono portare nel migliore dei casi ad avere delle penalizzazioni, violazione di regole meno importanti, e nel peggiore ad essere bannati definitivamente da Google sparendo quindi completamente dai risultati del motore di ricerca.
Con il passare del tempo però le regole di Google stanno diventando sempre più spietate, portando i marketer ad agire sempre più sul filo della lama per poter ottenere dei risultati di visibilità. E’ ovvio che Google tenti in tutti i modi di impedire ai Marketer di arrivare facilmente nele prime posizioni delle ricerche perche se fosse troppo semplice arrivarci, la qualità dei risultati non sarebbe più garantita e nessuno pagarebbe più per stare in prima pagina.
Oggi come oggi è pressochè impossibile rispettare tutto quello che dice Google perchè tutta la scienza SEO si ridurrebbe esclusivamente nel consigliare la pubbllicazione un sito facilmente navigabile e senza “errori” con l’immissione di contenuti importanti ed in quantità industriali.
La “pulizia” del sito ed i contenuti rilevanti sono essenziali ovviamente anche per i SEO, ma se si facesse esclusivamente questo, probabilmente si riuscirebbe ad ottenere una buona visibilità nel giro di “diversi anni”.
Ma il SEO nasce per l’esigenza di ottenere risultati in un tempo minore. Oltretutto, apparire tra i primi risultati di una ricerca, proprio per quel passaparola virale di cui parlavo prima e che ha ben impresso nella mente degli utenti che i primi risultati sono i migliori (come in effetti è!), costituisce un elemento importantissimo per la valorizzazione del proprio Brand oltre che ad essere l’elemento che fa lievitare enormemente il valore del proprio sito.
E’ chiaro che nell’inseguire questo scopo di visibilità il SEO può perseguire strade più (White Hat) o meno lecite (Black Hat).
Il “Wite Hat SEO” ed il “Black Hat SEO” sono due diversi modi di operare del SEO. Entrambi partono dalla conoscenza dei principi di funzionamento di Google, con la differenza che il primo sfrutta le conoscenze per avvantaggiarsene in modo lecito, il secondo le usa per trarre dei vantaggi in modo non consentito dai regolamenti del motore di ricerca.
In sostanza fare Black Hat significa dedicarsi a tutte quelle attività che Google vieta espressamente nelle sue linee guida, con l’obiettivo finale di “fregare” gli algoritmi matematici di Google che restano pur sempre delle intelligenze artificiali e quindi ingannabili.
Alcune delle tecniche vietate ma delle quali non parlerò sono ad esempio il flooding, il cloacking, lo spamming, lo scraping ecc.. Quello che dirò invece è che oltre ad essere tecniche ad alto rischio che possono portarti ad essere definitivamente bannato da Google, sia per via di algoritmi matematici creati da Google che sono alla continua ricerca dei Black Hat che per via di possibili segnalazioni effettuate dagli stessi utenti e poi verificate da persone preposte, le tecniche Black Hat sono tecniche che possono dare risultati per breve tempo e sopratutto richiedono sforzi enormi e quotidiani.
Il Wite Hat agisce invece secondo le “Quality Guidelines” di Google attenendosi scrupolosamente ad esse, e si basa sul principio: “Se dai a Google cio che Google vuole (ottimizzazione del sito e contenuti rilevanti), ti ricompenserà con traffico gratuito”. Tutto questo quasi ignorando l’esistenza dei motori di ricerca.
Come abbiamo detto questo tipo di operazione può portare via anni per portarti in buona posizione sopratutto per parole chiave rilevanti, ma, a differenza di quanto avviene con il Black Hat, ha il grande vantaggio di durare a lungo nel tempo.
Ma allora non esiste una soluzione?
La soluzione essenzialmente sta nel Grey Hat!
Il Grey Hat consiste nell’impiego di tecniche di posizionamento che non sono espressamente vietate da Google ma per le quali la posizione di Google non è chiara, vi ricordate il filo del rasoio di cui parlavo prima?
Alcune tecniche di Grey Hat sono ad esempio l’uso dei contenuto duplicato, siti multipli, matrici di link artificiali ecc.. Il Grey Het ha il grande vantaggio, rispetto al Blak Hat, di correre molti meno rischi. Solo in rari casi Google ha bannato siti che usavano il Grey Hat in maniera massiccia, mentre per lo più, quando lo scopre si limita a delle penalizzazioni, vale a dire che, ad esempio, sei alla quinta posizione ti retrocede alla sedicesima (sto dando dei numeri a caso).
Oggi come oggi il Grey Hat non può essere ignorato dai Marketer che vogliano ben posizionarsi nei motori di ricerca, perchè è largamente usato dalla stragrande maggioranza.
Ignorare il Grey Hat significherebbe mettersi automaticamente in condizione di grande svantaggio nei confronti dell’agguerrita concorrenza.
Inoltre Google ci mette del suo e giorno dopo giorno molte tecniche che prima erano di Wait Hat diventano di Grey Hat creando sempre più panico tra i SEO.
Insomma ogni giorno nel mondo ci sono tanti piccoli Davide (Marketer) che cercano di sconfiggere il gigante Golia (Google), straordinarie menti che si scontrano con immensi capitali e formule matematiche. Secondo te chi vincerà?
Lasiami il tuo commento!
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