“Dopo” di Laurent Moreau, Orecchio Acerbo

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

Ci sono albi illustrati nei quali il filo narrativo è creato tramite suggestioni, catene di sensazioni evocate che non raccontano una storia univoca e definita ma vanno ad incontrare la storia personale del singolo lettore.
Tracce, alle quali ciascun bambino – o adulto, che sia – appenderà i propri vissuti emotivi, i ricordi, oppure lampi di lievi riflessioni affinché il prodotto finale – la sensazione che accompagna la chiusura del libro – possa ogni volta rinnovarsi, ampliarsi, arricchirsi.

Trovo che il raffinato e delicato “Dopo” di Laurent Moreau (già autore del pregiatissimo “A che pensi?”, sempre pubblicato da Orecchio Acerbo Editore) sia da iscriversi a buon diritto in questa classe di opere.
I tratti onirici, vagamente psicanalitici delle illustrazioni – le quali non seguono dimensioni o accostamenti strettamente del reale ma bensì preferiscono quelli della fantasia – muovono in tal senso, verso la creazione, assieme ad un testo lirico ed immaginifico, di pagine di una bellezza tutta da scoprire, da lasciar decantare e germogliare.

Una lettura che, sicuramente, non segue i tempi della fretta e della voracità moderna, bensì quelli lenti delle stagioni, che qui si raccontano, dei passaggi semplici eppur straordinari della quotidianità dell’infanzia, delle domande esistenziali e filosofiche che i bambini, nella loro immensa saggezza non ancora macchiata dalla necessità dell’esperienza, con candore e profondità si pongono.

Un susseguirsi di tavole colorate, dove i caldi del rosso e del giallo si accompagnano ai contrasti freddi degli azzurri, pagine che si fanno ora doppie e piene – quasi sovrabbondanti – per poi, ad un voltar di foglio, confinano le illustrazioni a destra, lasciando il bianco rigoroso dello sfondo a sostenere il testo, in uno stampato leggero e discreto.

Il protagonista è sempre il bambino, anzi: un bambino in particolare, dalla zazzera bionda a caratterizzarlo. Gli altri, i comprimari – le solite mamme, papà, compagni di giochi, passanti – restano funzionali al suo vissuto, alla sua esperienza, alle sue emozioni.
Sono lì per, ma il focus del lettore è tutto sul piccolo, ragazzino forse, che attraversa un anno di vita così come fanno i bambini: con la meraviglia di chi non si è ancora assuefatto alla ciclicità, che da adulti confondiamo con normalità e non riconosciamo più come prodigio di una natura che, infondo e per fortuna, continua a governare.

L’idea del ciclo – delle stagioni, dei mesi – porta con sé il concetto del rapporto tra il prima e il dopo, che si fa leitmotiv dell’albo.
Il bambino impara il legame tra la premessa e la conseguenza e nell’impararla ne fa stupore, ma anche consapevolezza, rassicurazione e responsabilità.

Nell’albo le implicazioni del prima e del dopo, che si sposano per creare un divenire, un movimento che permette di procedere – sia temporalmente che psicologicamente, sia secondo lo spazio fisico che all’interno dell’anima – sono tutte manifeste, ma appena accennate.
Non c’è da capirle, quanto da lasciarsene pervadere, perché ciascun riferimento, ai tempi dell’io e a quelli del fuori, può dare frutti diversi.

Ecco quindi che si rivelano i prima e dopo della natura, con il loro carattere di bellezza e necessità (dopo il fiore, c’è il frutto), ci sono i prima e dopo degli stati d’animo che fanno comprendere che quelli brutti non saranno per sempre e quindi rassicurano (dopo la rabbia, c’è il silenzio) ma anche insegnano che esistono conseguenze per le azioni (dopo la lite, ci sono le lacrime), ci sono i prima e dopo del gioco, delle esperienze, quelli del corpo e quelli del pensiero (dopo la morte, mi spaventa l’idea che non ci sia niente). Ci sono quelli dei sentimenti, i prima e dopo che insegnano che passate le separazioni possiamo ritrovare chi ci ama, i prima e i dopo del divertimento – quelli che si vorrebbero restassero prima il più a lungo possibile – e persino i prima e dopo dell’immaginazione, o quelli spaziali che ci portano a coprire distanze con le gambe o con la fantasia…

Tutti i prima e dopo raccontati sono pennellate che punteggiano quell’immenso flusso che è la vita, come fossero i puntini casuali di un quadro impressionista.
Visti da lontano danno l’idea del divenire, ma insieme del ritornare, che però non è mai uguale a se stesso perché ogni domani è un’incognita pur nel ciclo naturale.

L’idea infondo di dare al libro la cadenza stagionale, di farlo partire in inverno per farlo poi là tornare, lasciando qua e là semi che ne delimitino il cammino e lo rendano riconoscibile temporalmente, oltre a dare contenimento alla narrazione, permettere al bambino di fissare un piano di lettura chiaro per poi abbandonarsi con meno smarrimento agli altri, conferisce un senso di universalità, pur nella specificità del protagonista e delle esperienze.
L’anno che trascorre diviene un contenitore esperienziale entro cui ciascun lettore può fare ricadere le proprie, le stagioni sono paletti che nel defluire sussistono, il prima e il dopo divengono allo stesso tempo necessari e speciali e, soprattutto, si uniscono nell’attimo che più di tutti ha importanza: l’adesso.
E’ sul qui e ora che si chiude l’albo, sull’anello d’oro che unisce ciascun prima a ciascun dopo. Il momento che si sta vivendo, quello che vale e che determina, alla fine dei giochi, ciascun dopo.

Le tavole di Moreau, che in “A che pensi?” si distinguevano per potere immaginifico nel descrivere il mondo emotivo ed interiore, mantengono qui questa loro capacità.
Anche là dove è il mondo esterno ad essere rappresentato non lo è mai del tutto: il filtro dell’occhio del protagonista contamina il reale che diviene la realtà percepita, e non quella fotografata.
Il bambino di Moreau è presente come colui che agisce e come colui che guarda, permettendo al lettore di entrare nel suo universo e quindi trasferendo intensità e pathos pur con illustrazioni molto eleganti e, per vari versi, complesse, che non tacciono, tra le tante delicatezze, anche qualche elemento grottesco e cupo.

(età consigliata: dai 5 anni)

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