di Rina Brundu. Dato l’argomento trattato quest’oggi nel suo “Otto e mezzo” (La7), non si può escludere che ultimamente Lilli Gruber sia passata da questo sito, o no? Di fatto sono mesi ormai che qui si denuncia una situazione mediatica terzomondista in Italia (non che prima del renzismo fosse molto migliore), che ha visto nell’attacco renziano a “Il Fatto Quotidiano” il suo climax to-remember.
Ma ferma restando la forte condanna per quest’ennesimo atto bullista governativo, a mio avviso la domanda posta dalla conduttrice ai suoi ospiti: “Che potente è un potente che attacca la Stampa?”, era mal posta, quasi ingenua e scioccherella nella sua natura, dato che da che mondo é mondo – e da questo punto di vista consigliamo a Lilli Gruber una lettura più approfondita de “Il Principe” di Machiavelli, che non fa mai male – non c’é potente che gradisca il dover rendere conto a niuno del suo operato, men che meno agli “scagnozzi” della cosiddetta Stampa libera. La domanda andava quindi riformulata, rovesciata, moltiplicata: “Che Stampa è questa Stampa italiana genuflussa al potere? Possiamo considerarla una stampa libera?”. Dulcis in fundo – dato che la Gruber opera “sotto testata giornalistica”, per dirla con la signora D’Urso -, sarebbe stato necessario fare i nomi e i cognomi, o per meglio dire citare le testate che da mesi portano avanti questa sorta di scandalosa missione informativa genuflessa nei confronti del potente di turno. Per meglio scrivere sarebbe stato necessario ricordare gli slogan e i poster blanket-size con cui ci ha quotidianamente ammorbato Il Corsera del nuovo direttore Luciano Fontana, la “deriva” che sta prendendo la “Repubblica” di Calabresi (che ci era sembrato invece un ottimo direttore de “La Stampa”), l’incommentabile degrado intellettuale di giornali storici come “L’Unità” fondata da Antonio Gramsci e via enumerando.
Ne deriva che la signora Gruber, invece di optare per una linea retivente e “connivente” con l’operato dei suoi colleghi giornalisti, avrebbe fatto più bella figura se avesse posto quest’ulteriore domanda: “Come mai Renzi ha criticato solo “Il Fatto Quotidiano” tra i grandi giornali?”. La risposta sarebbe stata semplice: perché non aveva alcuna necessità di scudisciare gli altri quotidiani qui citati che sono già ai suoi ordini. Ancora, la conduttrice avrebbe dovuto invitare almeno qualcuno dei suoi illustri ospiti – tra i quali un Loris Mazzetti, Capostruttura di Rai3, che sembrerebbe vivere ancora al tempo del ventennio berlusconico in un loop temporale senza ritorno – a discutere dell’operato di questi loro colleghi, vedi il Fontana di cui sopra, vedi Calabresi, vedi l’Erasmo D’Angelis (direttore de L’Unità), recentemente restituito al ruolo di tappezzeria da Laura Ravetto durante un’altra puntata di questa stessa trasmissione, invece di parlare solo delle magagne Rai che é un poco come sparare sulla Croce Rossa.
La verità recita dunque – e, qualora si coltivassero ancora dubbi, l’odierna trasmissione di Lilli Gruber ce ne ha fornito l’ennesima prova – che in Italia il giornalismo è una potentissima casta esattamente come lo è quella politica ed è una casta che purtroppo non ha un suo “cane da guardia”. Si è trasformata quindi anche in una sorta di lobby (in conflitto di interessi multiplo – e soprattutto etico, visto la tipologia di servizio che dovrebbe rendere al cittadino), che fa e disfa come meglio le conviene e di buon accordo con le mire del momento dell’editore di riferimento. Dormire o morire, poltrire sulla scrivania, fare l’ospite cool in tv o fare davvero il giornalista impegnato accollandomene tutti i rischi? Questi sono i dilemmi che affliggono il moderno giornalisto italico, direbbe Shakespeare. Che poi i vari bodies internazionali deputati ci collochino sempre all’ultimo posto nelle classifiche sulla libertà di Stampa nel mondo, in compagnia di veri e propri stati canaglia, non dovrebbe davvero sorprendere: è solo consequentia-rerum. Un’altra!