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DOPO IL DILUVIO | DAVID LACHAPELLE in mostra a Roma

Creato il 07 ottobre 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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david_lachapelle_dopo_il_diluvio_romaDOPO IL DILUVIO | DAVID LACHAPELLE

Roma, Palazzo delle Esposizioni, 30 aprile – 13 settembre 2015

di Massimiliano Sardina

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Il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita per la seconda volta una grande mostra del fotografo americano David Lachapelle (la precedente esposizione Hotel Lachapelle risale al 1999). Dopo il diluvio, curata da Gianni Mercurio con la collaborazione di Ida Parlavecchio, raccoglie una produzione composita compresa tra il 1995 (anno di Room For Naturalism) e il 2015 (con il ciclo Aristocracy). La prima opera in cui si imbatte il visitatore è The Deluge, del 2006, che funge da preludio all’itinerario tematico e formale dell’esposizione; qui il riferimento al Michelangelo della Cappella Sistina è fin troppo dichiarato: quel che balza immediatamente agli occhi è la nudità plastica dei corpi, sfacciatamente esibita in primo piano, cristallizzata in una posa teatrale da tableau vivant talmente insistita e innaturale che a tratti finisce per rivelare anche la stanchezza dei modelli. Le atletiche membra ignude cercano conforto le une nelle altre, si soccorrono, si sorreggono mentre, quasi inespressive, lentamente affondano; l’edonismo, i falsi miti della bellezza e della giovinezza, l’effimero della felicità terrena, i simboli del potere, le griffe, i baluardi del consumismo… tutto fa brodo nel fiume in piena del diluvio purificatore, tra carrelli del supermarket, antenne paraboliche reimpiegate come zattere e metri di cellophane. Non c’è moralismo in The Deluge, ma solo patinata constatazione della decadenza, un prendere le distanze che al contempo è anche compiaciuta appartenenza (dalla contemporaneità, sembra suggerire Lachapelle, non ci si salva comunque).

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Del 2007 è invece l’interessantissimo ciclo After the Deluge, che dà il titolo alla mostra. Qui l’acqua del castigo divino penetra nei musei, allaga le sale e disegna specchi dove le opere pittoriche e scultoree si riflettono emblematicamente capovolte e distorte; l’arte qua e là danneggiata sopravvive, ma è costretta a rimirarsi nella sua vacua autoreferenzialità. In questo ciclo Lachapelle non utilizza direttamente il corpo umano ma la sua versione dipinta e scolpita. Dopo il diluvio c’è la conta dei danni: la materia si fa maceria, ciò che prima svettava ardito e lucente ora si inchina alla ruina, il fregio si fa sfregio, tutta quell’apparente immutabilità declina stordita. È una fine ed è un inizio: dalla devastazione forse sorgerà una civiltà migliore o forse riattecchirà la stessa civiltà, chi può dirlo? Strettamente connesso ad After the Deluge è il ciclo degli Awakened (ossia “i risvegliati”, o “i ridestati”), sempre del 2007, sicuramente il momento più alto e pregevole dell’intero percorso espositivo. Le fotografie (tecnicamente perfette, pulite, sintetiche) immortalano undici corpi a grandezza naturale immersi nell’acqua. Abel, Judith, Jesse, Job, Sarah, Daniel, Deborah, Abram, Abigail, Delilah e Jonah sono in ammollo in un’acqua di luce, fluttuano in una sorta di ceruleo liquido amniotico che al tempo stesso li preserva e li affoga; se stiano emergendo o stiano sprofondando è difficile dire, tuttavia i fotogrammi fissano l’inabissamento quale condizione di passaggio, un percorso obbligato (verso una fine o verso una rinascita). L’acqua del diluvio è misteriosa, è pura, è avvolgente, e i naufraghi (un prete, una casalinga, un impiegato…) galleggiano in un’innocente inconsapevolezza, con ancora indosso gli abiti terreni.

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Nel ciclo Earth laughs in flowers (La terra ride nei fiori), realizzato tra il 2008 e il 2011, Lachapelle si riallaccia esplicitamente alle vanitas floreali seicentesche, integrandole con elementi del consumismo contemporaneo (bottiglie di plastica, cellulari, barbie, medicinali, trash-food…): al barocco del memento mori si sostituisce un’impietosa istantanea di una società vacua e cafona. “Sopravvissuto al diluvio” è anche il ciclo di Still Life realizzato tra il 2009 e il 2012 con i resti vandalizzati delle statue di cera recuperati dal Museo Nazionale delle Cere di Dublino; l’atto vandalico subìto dal Museo ispirò al fotografo una serie di ri-composizioni con teste, busti e arti di Madonna, Michael Jackson, Lady Diana ecc., una macabra riflessione sulla macinazione dei miti e sulla damnatio memoriae. Il cerchio si chiude con Black Friday at Mall of the Apocalypse (2013), e più ancora con Seismic Shift (2012). In Seismic Shift la distruzione diluviale irrompe in un museo d’arte contemporanea (per la precisione la Paul Kasmin Gallery), travolgendo le opere di Damien Hirst, Jeff Koons, Takashi Murakami, Barbara Kruger, Andy Wharol e altri; va in mostra tutta la decadenza del pop, vandalizzato e purificato dall’acqua del castigo. La fotografia di grande formato potenzia l’impatto visivo e valorizza la grande abilità compositiva di Lachapelle. Le opere sono molto più aperte e problematiche di quello che può apparire a una lettura veloce, e al di là degli indubitabili meriti tecnici e formali sul piano squisitamente estetico, queste immagini descrivono bene (pur se con il pleonasmo della didascalia) tutta la plastica che trasuda questo nostro fottuto tempo.

Massimiliano Sardina

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Cover Amedit n. 24 - Settembre 2015

Cover Amedit n. 24 – Settembre 2015
“Noli Me Tangere” omaggio a Pier Paolo Pasolini.
by Iano 2015

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