L’accusa di Scanu è contro le major, non contro i talent (anche se le due cose ultimamente quasi coincidono) ed è meditata e dettagliata: «Chiunque acquisti notorietà grazie a un talent show corre il rischio di essere usato o poi gettato via dalle major del disco» spiega. «Ad Amici questo rischio riguarda oltre il 95 per cento dei casi». Dalla Emi, dice, mai un aiuto: «Anche il brano di Sanremo l’ho trovato da me, grazie alla mia amicizia con Pierdavide Carone. Loro preferirebbero sempre importi i loro brani perché possiedono le edizioni. L’unico modo per salvarsi, usciti vittoriosi da un talent, è farsi rappresentare da un manager, meglio se anche avvocato. Consiglio a tutti un talent per emergere ma se a 18 anni poi vinci e il tuo manager diventa la casa discografica, chi farà i tuoi interessi?».
“Amici”, “X Factor”, “The Voice”, formule diverse ma con un denominatore comune: la promessa del successo, una strada per pochi, però, lastricata di ex fenomeni. I talent show macinano ad ogni edizione nomi e volti, i fan che seguono in tv sono appassionati, disposti al televoto, comprano dischi e canzoni ma sono anche tremendamente mutevoli: accanto a belle realtà come Marco Mengoni, Emma e Alessandra Amoroso quanti davvero ricordano la vincitrice di The Voice Elhaida Dani, lo scorso anno? Quanti il vincitore di Amici 2011 Virginio? E dov’è Marco Carta, che dopo Amici 2008 ha anche vinto il Festival di Sanremo nel 2009? Dove gli Aram Quartet, Matteo Becucci, Nathalie, Francesca Michielin, tutti vincitori di X Factor? Su e giù dalla vetta, e tutto sempre troppo velocemente. «Anche perché» osserva Scanu «nessuna casa discografica spinge due artisti insieme, e io alla Emi venni preferito a Martina Stavolo perché con il disco avevo venduto più di lei. Per tutto questo diventa fondamentale saper crescere artisticamente, durante e soprattutto dopo il talent. Il lavoro arriva dopo».
Per Stefano Senardi, ex discografico di lungo e prestigioso corso, consulente di “X Factor” e ora membro della Commissione artistica del Festival di Sanremo, il lavoro dovrebbe invece sempre arrivare prima: «È la scelta che abbiamo fatto a X Factor in questa edizione» spiega Senardi, «sei mesi prima dell’inizio della trasmissione, con Lucio Fabbri, con i produttori della Fremantle Media e con la Sony, cerchiamo di indirizzare i ragazzi scelti, di capire quali scelte discografiche e artistiche servono per iniziare a lavorare con loro per un percorso più coerente. Seguiamo il metodo inglese». Ma Senardi è convinto che i talent abbiano dato nuovo vigore al mercato e sollecitato l’interesse dei ragazzi per la musica: «Danno spazio ai giovani artisti in un momento in cui la discografia non ha più i mezzi per fare scouting. Se c’è tanta musica autoprodotta e tanto interesse in giro è anche grazie ai talent. Il loro problema semmai è che rendono famosi i concorrenti prima che inizino a crescere. Chi finora ce l’ha fatta ha dimostrato voglia di studiare, dopo: Mengoni, Noemi, Emma, artisti curiosi che hanno fatto passi da gigante. Il mercato è stretto, non tutti ce la fanno, ma anche chi al momento è fermo potrebbe aver avuto bisogno di una pausa di riflessione».
Piero Pelù a The Voice non si considera un giudice ma un allenatore, non si vede in un talent ma in un programma musicale, non vorrebbe sentir parlare di gara ma solo di musica. L’obiettivo è ambizioso ma sembra sincero: «La cosa più importante sarebbe dare ai ragazzi strumenti di analisi psicologica: quella che vivono è senz’altro un’esperienza forte ma non è né l’inizio né la fine della loro carriera. E il talent di oggi non è diverso dal Sanremo degli anni d’oro, uno dei tanti palchi nella vita di un artista, e anche dopo Sanremo si può svanire nel nulla». A Sanremo però non si vive un’atmosfera da reality: «Proprio sicuro? Guarda cosa successe a Luigi Tenco...».
Carlo Morettiper "La Repubblica"