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Dopo la riforma Obama le banche americane sono più sicure?

Creato il 11 marzo 2013 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Uno dei punti cardine del cambiamento promesso da Obama durante la sua prima campagna elettorale era la riforma del sistema finanziario. La riforma, molto attesa da tutti i cittadini americani, è arrivata nel primo mandato del Presidente ma, come si sul dire in questi casi, la montagna ha partorito un topolino.

La legge Dodd-Frank, che prende il nome dai due firmatari, il deputato democratico Frank e l’ex senatore Dodd, aveva l’obbiettivo di ridurre i gravosi rischi assunti dalle istituzioni “troppo-grandi-per-fallire” come Citygroup e Bank of America; viceversa, i consumatori dovevano essere protetti dai truffatori coinvolti nei mutui “predatori” nel mercato immobiliare.

Toro di Wall Street
Bisogna segnalare che la legge non nasceva sotto i migliori auspici, oltre al fatto che Obama nel 2008 fu il candidato che ricevette i maggiori finanziamenti per la sua campagna da parte del settore finanziario americano, sempre nel 2008 lo stesso senatore democratico Chris Dodd, al tempo presidente della Commissione bancaria del parlamento statunitense, è stato accusato di aver accettato un «trattamento di favore» per il rifinanziamento di due mutui; operazione gestita da Countrywide Financial, una società di credito già nell’occhio del ciclone per aver contribuito ad innescare la crisi dei sub-prime nel Paese.

La riforma, definita epocale, è stata riassunta da Jonathan Macey, professore di Diritto aziendale e diritto di sicurezza finanziaria aziendale presso l’università di Yale, in maniera poco lusinghiera: “crea una nuova burocrazia e gli assegna budget smisurati e ampi poteri di attuare nuove normative. Per i consumatori abbiamo un nuovo Consumer Financial Protection Bureau. Al tempo stesso, tuttavia, è previsto che i consumatori continuino a badare a se stessi. C’è un nuovo Office of Financial Literacy, dove possono imparare quando li stanno defraudando; e una nuova “hotline” nazionale per i reclami dei consumatori” che dà ai proprietari delle case la possibilità di chiamare un utile numero verde per comunicare di essere vittime di un raggiro.”

A questo punto la domanda sorge spontanea, dopo la riforma voluta da Obama, qual è lo stato delle banche americane?

Una recente inchiesta della rivista americana The Atlantic, rileva che : “Negli ultimi quattro anni i politici e banchieri statunitensi hanno fatto sforzi enormi, in alcuni casi senza precedenti, per salvare l’industria finanziaria, ripulire le banche e rivedere la normativa alla scopo di restituire credibilità al sistema. Ma non ha funzionato: oggi le banche sono più grandi e meno trasparenti che mai e continuano a comportarsi più o meno come facevano prima della crisi.”  L’inchiesta della rivista và a spulciare i bilanci di due grosse banche americane, la JP Morgan, considerata dagli investitori come una delle aziende statunitensi più sicure e gestite meglio, e la Wells Fargo, generalmente ritenuta la più cauta delle banche USA in fatto d’investimenti. Il quadro che ne esce è a dir poco spaventoso: con la totale mancanza di trasparenza dei loro bilanci, la mancanza di fiducia nelle banche, non solo da parte dei cittadini come prevedibile dopo la crisi, cresce negli stessi addetti ai lavori e i cosiddetti esperti: “A quattro anni dalla crisi, il prezzo delle azioni delle grandi banche resta basso. Anche dopo il rialzo dello scorso autunno, molte sono ancora al di sotto del loro “valore contabile”, il che significa che valgono meno di quanto risulta dai loro bilanci. Questo indica chiaramente che gli investitori non credono in quel valore dichiarato o non credono che in futuro la banca possa essere molto redditizia.”

Questa crisi di fiducia è  una cancrena che ha un effetto domino su tutta l’economia, se le banche non attirano capitali e perdono clienti, i loro manager, terrorizzati dagli errori commessi in passato non concedono tutti i presti che dovrebbero e l’economia arranca o cresce molto lentamente. La pietra angolare di questa mancanza di fiducia è il sospetto, spesso fondato, che le banche falsino i loro bilanci: “Da quando gli istituti finanziari, e tutte le loro attività, sono diventati più complessi, le norme sui bilanci sono aumentate a dismisura. Ma non riescono comunque a stare al passo con i cambiamenti del sistema. I banchieri più astuti, con l’aiuto dei loro legali e dei contabili riescono a trovare il modo di aggirare l’intento della legge pur rispettandone la lettera.”

Un esempio lampante di come queste banche prese ad esempio nell’inchiesta abbiano aggirato i regolamenti, lo si trova nell’acquisto di derivati sotto le voci di “copertura”, che in realtà dovrebbe trattarsi di una specie di polizza assicurativa sull’investimento, o “servizi alla clientela” che per la Wells Fargo nel 2011 comprendeva l’acquisto di derivati per circa 2.800 miliardi di dollari, ma, se questa cifra vi sembra grande, è bene che sappiate che la JP Morgan nel terzo trimestre del 2012 presentava nei propri libri contabili derivati per un valore nominale di 72mila miliardi di dollari, circa cinque volte l’intera economia degli Stati Uniti.

Concludendo, e tornando ai  tentativi di regolamentazione del sistema bancario, il “The Atlantic” sottolinea come: “In primo luogo servirebbe un sistema di rendicontazione più chiaro, che tutte le banche dovrebbero rispettare. In secondo luogo, i dirigenti che ingannano consapevolmente gli investitori o commettono altre frodi o abusi dovrebbero correre il rischio di essere puniti. Invece, dagli anni ottanta in poi, le regole sono aumentate a dismisura, le giustificazioni per il loro mancato rispetto sono diventate sempre più tecniche, e le punizioni sono state rare e poco significative. Le multe sono irrisorie rispetto ai profitti delle banche.”

Ora l’economia USA è in leggera ripresa, le imprese stanno riportando solide entrate e il mercato azionario è forte. Ma non appena l’economia vacilla, le banche hanno buone probabilità d’iniziare a fallire nuovamente, e le banche più grandi, come sempre, sarebbero particolarmente vulnerabili perché sono loro che si assumono i rischi più grandi, e, come sottolinea Simon Johnson, professore del MIT ed ex-economista capo della Banca Mondiale: “la Dodd-Frank rende i salvataggi pubblici più probabili. La certezza che le istituzioni finanziarie più grandi siano “troppo grandi per fallire” è falsa e rischiosa. Le banche sono soggette a maggiori rischi perché i loro manager sono ancor più sicuri di poter fare grandi scommesse con i soldi dei contribuenti. Se le scommesse dovessero risultare vincenti, questi manager otterranno bonus da milioni di dollari. In caso contrario, saranno i contribuenti a pagare.”


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