DOPO LE EFFEMERIDI
Siamo una carezza di vento sul manto aspro della terra
poi basta: il giro dei secoli ci disperde nei vortici del creatoe noi ombre vaghe rivestite del velo sottile dell’apparenzarecuperiamo sostanza di cielo tra una nuvolae l’altra
eppure il vuoto non ci riprende: la speranzaci ricolma il petto nel nostro andare in là decisi a trafiggereil tenue diaframma del confine serale
dove l’unione col cielo si confondein una continua linea rossa:
se avremo ancora un’ora di tempoper allontanare tutta la fine dal nostroorizzonte ambiguo
ci sarà spazio per aprire uno spiraglio di luceun solo lungo spiragliooltre questo vivere cosìrasente la terra
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Ma dunque vedremo il nostro passo ritrarsisul lembo esterno della mortee si farà lesto e inorridito fino al principioritornerà a montefingendo che più niente sarà uguale eche la luce del parto sia statadoloroso retaggio d’un avvenire ancora troppoimpreciso, incerto nel muoversiverso un unico degrado molecolare
che darà poi nuova vita a tutto un altro universo
Noi dunque come Sodoma e guai! mai voltarsi indietroo perire come neve al sole, sale della terradisciolto in mari o presso straniere spiagge acqua diluita e poi evaporata
per nuove cataratte di pioggia sopra questa cittàtralasciata dalla mano di dio
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Proseguo nei campi o di città in cittàdopo le effemeridi trascritte nel viaggio ancora al capolineama a termine di capitolo sottoscrittosarò come Zaccheo ancora incuriositonel vedere la lunga fila di maestriandare verso Gerusalemmedecisi a spogliarsi d’ogni guscioper divenire altro grano al sole
e nuovo per sempre
oppure ripiegare verso Gomorra
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Duttile come fil d’oro la mia voce in petto non mi perdonama s’adagia come foglia lieve sul prato d’autunnorimane incerta e fragile sotto l’abisso del cieloe il vento ne fa bizzarria
Ho scritto anche due parole sul diarioper dirle alla vita lungo il muro del giornoche divide il nostro andare in bilico(di qua e di là con c’è che un nulla profondoinspiegabile con le mani della ragioneintuìto con quelle del poeta)
due parole d’ossimoro, tempo e casa:o l’uno si faccia eternoo l’altra mi culli per sempre
così da non vedere oltreil confine di questa vaga scrivaniail termine del giroche il buio o la verità insinua
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Perché rimanga un solco di me sulla terraincido nella pietra il mio grido d’abbandonoe sarò scritto per sempre nel cuore di marmoné il mio nome potrà essere suono sonoronel vento del peccato che distrugge ognicondominioogni stanza dell’infinito quartiere d’ossa
qui
su questa trasformazione dell’alito di dioche sgroviglia e rimpasta ogni molecolaogni anima dà e riprendee sui petali dei fiori fa aleggiarecome disperato bombicealla ricerca di altro nuovo nettare
altra nuova linfa
Perché rimanga la mia immaginazioneferma sul punto di non ritornoquando ogni macchina cerebrale sarà gelatamenteimmobile
scriverò di me che sono stato un soffio di vento pellegrinonel regolare fermento del creato