di Augusto Benemeglio
Leuca (copyright Gianfranco Budano)
Sui salentini che , dopo morti , fanno ritorno a Leuca col cappello in testa, esiste una poesia di Vittorio Bodini dal titolo Finibusterrae, che fa parte della raccolta Dopo la luna. Cito i versi immediatamente precedenti, e quelli in questione:
Il fanale d’ un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce , regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente , Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi di un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.
So che esiste anche un romanzo dallo stesso titolo Finibusterrae, di un altro salentino, il melissanese LuigiCorvaglia, a cui Bodini probabilmente si rifà.
Che i morti, nel Salento, dovessero essere vestiti di tutto punto, è un costume e una tradizione antica che tuttora si perpetua (anche la cinta ha la sua importanza, altrimenti quando ti vai a presentare dinanzi a Nostro Signore, ti cadono i pantaloni), e nel mondo contadino il cappello in testa allora era sintomo di grande dignità. Che poi questa credenza di andare a Leuca, ammesso che esista e non sia solo una trovata poetica, riguardi tutte le aree salentine, mi sentirei di escluderlo a priori.
Forse era in uso a Lecce, di cui era originario Vittorio Bodini, perchè a quel tempo (anni 50-60) Leuca era il mare dei leccesi benestanti; o forse nei paesi del Capo siti nelle immediate vicinanze di Leuca (Presicce, Alessano, Acquarica, Castrignano, Gagliano del Capo), ma non certamente a Gallipoli e non credo neppure a Nardò e Porto Cesareo, che hanno il loro mare e non si vede perchè i morti di quelle zone avrebbero dovuto (o dovrebbero) andare a Leuca, col cappello in testa, anche se Leuca -ben lo sappiamo- esercita un grande fascino e, nell’immaginario collettivo, è terra estrema, fine della terra, ecc.
Leuca deriva dal greco Leucòs e significa bianca, che può voler dire innocenza, candore, ma anche fantasma (ecco perchè Leuca è citta che non esiste).
Santa Maria di Leuca (copyright Gianfranco Budano)
Ma in arabo la stessa parola viene tradotta in Luce, una luce talmente straordinaria da accecare, una luce proibita agli umani e anche alle sirene (ecco perchè una di queste, perdutamente innamorata di Enea, venne punita con l’accecamento; mentre l’eroe si salvò perchè si pose una benda sugli occhi).
E sull’alto di questa città dalle mille grotte marine, città gradita agli dei, adagiata com’è in un seno racchiuso da due punte, Rìstola e Mèliso, ultime propaggini delle serre salentine, dove si mescolano le acque dello Jonio e dell’Adriatico, c’era anticamente un importante tempio consacrato a Minerva, dea particolarmente amata nel Salento (era la protettrice degli ulivi, e chiunque fosse trovato a tagliare un sacro ulivo rischiava di essere lapidato). Sui resti di quel tempio fu costruito l’attuale Santuario cristiano di Santa Maria di Leuca, che se fosse vicino Milano -mi ha detto un amico salentino che lavora nella metropoli lombarda- diventerebbe ultramiliardario, invece non c’è neppure un posto di ristoro decente, per non parlare dei servizi igienici. Qualcuno dice che non decolla perchè là nei pressi c’è la grotta del Diavolo.
E anche l’ultima raccomandazione di San Pietro, (che è stato in milioni di posti e non si vede perchè non a Leuca): “almeno una volta nella vita dovete recarvi a Leuca, perchè questo luogo è l’anticamera del paradiso “, ahimè, sembra essere caduta nel vuoto. Forse è per questo che i salentini ci vanno dopo morti, e con il cappello in testa?