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Dopo Renzi che cita Dante, Massimo Giannini e Giuseppe Sottile si buttano su Shakespeare (autore RAI?) e “sull’inverno del nostro scontento”: considerazioni e riflessioni. Semiserie.

Creato il 16 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Hogarth,_William_-_David_Garrick_as_Richard_III_-_1745di Rina Brundu (Serie Sarò Bre…). Premetto che a volte non saprei distinguere l’ombra gigante di un elefante in procinto di calpestarmi, ma date cose raramente mi sfuggono. Di sicuro non mi sfugge se Massimo Giannini, durante, prima o dopo i suoi preamboli a Ballarò (Rai3), cita il Riccardo III shakesperiano. Un ghiribizzo come un altro ma immagino che ognuno di noi abbia il suo “eroe” universitario preferito, Riccardo era uno dei miei. E da quel tempo in poi, l’ammirazione per questo straordinario “villain-storico” del bardo di Stratford-upon-Avon non è mai venuta meno; mentre restano tante le “caricature” gotiche che su infiniti livelli hanno tentato di emularlo senza riuscirci. Si potrebbe forse dire che tutti gli anti-eroi “giganti”, portati ad ordire trame malevole e possibili, schemi complessi e nefasti siano emuli e “figli” di Riccardo (vedi tra gli ultimi, in ordine di tempo, il diabolico Frank Underwood interpretato da Kevin Spacey in “House of Cards”). Che però é rimasto l’unico. E il solo.

Ma se questa “attrazione” riccardiana è normale in uno studente di letteratura, da dove proviene la fascinazione del giornalismo italiano verso questo anti-eroe e la sua vena “poetica”? La domanda è lecita perché non è troppo tempo fa che ho sentito Giannini, il novello conduttore di Ballarò, citare il più famoso dei monologhi del Riccardo III (vedi sotto) e in particolare il suo magistrale incipit “Ora, l’inverno del nostro scontento…”. Come non bastasse, la citazione si è ripetuta anche martedì scorso durante la pesante e mogia introduzione al programma post-attacco a Charlie Hebdo. Se consideriamo che di puntate di Ballarò io ne ho viste meno di tre, la domanda nasce spontanea: ma l’usage della citazione in questione è stato contrattualizzato e Shakespeare è adesso autore-fisso di Rai3? Nulla da recriminare, s’intende, passare dai saggi marxisti ai play shakesperiani è percorso degno di plauso: chapeau!

Ho finito? Magari! Eh già!, perché é stato proprio questa mattina che lo spettatore mezzo addormentato ha potuto apprezzare finanche un pimpante Giuseppe Sottile, giornalista de Il Foglio in trasferta a Uno Mattina (Rai 1), arricchire il discorso con quello che secondo lui sarebbe il noto-motto “l’inverno del nostro scontento…”. Virus? Contagio delle idee? O mancanza delle stesse? Omologazione digitale? Il dubbio mi assilla.

Certo bisogna concedere che è effettivamente “inverno” e il “nostro scontento” non manca mai…. specie quando ci sintonizziamo su… mamma-Rai.

——

Dall’Atto I Scena I della tragedia “Riccardo III” (1592) di William Shakespeare, segue il monologo citato in versione italiana e nell’originale inglese.

RICCARDO III

Monologo

Ora l’inverno del nostro scontento
è reso estate gloriosa da questo sole di York,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose
sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo
dell’oceano.ora le nostre fonti sono cinte di
ghirlande di vittoria,le nostre armi malconcie appese
come trofei,le nostre aspre sortite mutati in lieti incontri,
le nostre marce tremende in misure deliziose di danza.
la guerra dal volto grifagno ha spianato la fronte corrugata,
e ora,invece di montare destrieri corazzati per atterrire le
anime di nemici impauriti ,saltella agilmente nella camera
di una signora al suono seducente di un liuto.
ma io che non fui fatto per tali svaghi ,
ne fatto per corteggiare uno specchio amoroso;
io che sono di stampo rozzo e manco della maestà d’amore
con la quale pavoneggiarmi davanti a una frivola ninfa
ancheggiante ,io sono privo di ogni bella proporzione,
frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice,
deforme,incompiuto,spedito prima del tempo in questo mondo
che respira,finito a metà,e questa cosi’ storpia e brutta
che i cani mi abbaiano quando zoppiccò accanto a loro,
ebbene io ,in questo fiacco e flautato tempo di pace ,
non ho altro piacere con cui passare il tempo se non
quello di spiare la mai ombra nel sole e commentare
la mia deformità.
perciò non potendo fare l’amante
per occupare questi giorni belli ed eloquenti,sono
deciso a dimostrarmi una canaglia e a odiare gli oziosi
piaceri dei nostri tempi.ho teso trappole ,ho scritto
prologhi infidi con profezie da ubriachi ,libelli e
sogni per spingere mio fratello clarence e il rea
odiarsi l’uno contro l’altro mortalmente;
e se re edoardo è giusto e onesto quanto io sono astuto
falso e traditore ,oggi clarence dovrebbe essere imprigionato
grazie a una profezia che dice che g. sarà l’assassino degli
eredi di edoardo.tuffatevi pensieri intorno alla mia anima,ecco cCarence.

(tratto da www.shakespeare.it – grazie).

 

ACT I SCENE I London. A street.

Enter GLOUCESTER, solus.

GLOUCESTER Now is the winter of our discontent

Made glorious summer by this sun of York;

And all the clouds that lower’d upon our house

In the deep bosom of the ocean buried.

Now are our brows bound with victorious wreaths;

Our bruised arms hung up for monuments;

Our stern alarums chang’d to merry meetings,

Our dreadful marches to delightful measures.

Grim-visag’d war hath smooth’d his wrinkled front;

And now, instead of mounting barbed steeds

To fright the souls of fearful adversaries,

He capers nimbly in a lady’s chamber

To the lascivious pleasing of a lute.

But I, that am not shaped for sportive tricks,

Nor made to court an amorous looking-glass;

I, that am rudely stamp’d, and want love’s majesty

To strut before a wanton, ambling nymph;

I, that am curtail’d of this fair proportion,

Cheated of feature by dissembling nature,

Deform’d, unfinish’d, sent before my time

Into this breathing world, scarce half made up,–

And that so lamely and unfashionable

That dogs bark at me as I halt by them;

Why, I, in this weak piping time of peace,

Have no delight to pass away the time,

Unless to spy my shadow in the sun

And descant on mine own deformity:

And therefore, since I cannot prove a lover,

To entertain these fair well-spoken days,

I am determined to prove a villain

And hate the idle pleasures of these days.

Plots have I laid, inductions dangerous,

By drunken prophecies, libels and dreams,

To set my brother Clarence and the king

In deadly hate the one against the other:

And if King Edward be as true and just

As I am subtle, false and treacherous,

This day should Clarence closely be mew’d up,

About a prophecy, which says that G

Of Edward’s heirs the murderer shall be.

Dive, thoughts, down to my soul: — here

Clarence comes.

Featured image, English actor David Garrick as Richard III just before the battle of Bosworth Field. His sleep having been haunted by the ghosts of those he has murdered, he wakes to the realisation that he is alone in the world and death is imminent. The painting, David Garrick as Richard III (1745), by William Hogarth.

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