Se un giorno ti svegliassi con la consapevolezza che ciò che hai non ti basta più, che dentro di te si muove qualcosa di più profondo, un’inquietudine che ti spinge verso qualcosa di diverso e ti fa percepire nettamente la differenza tra il tuo irrequieto mondo interiore e quello “reale” della routine giornaliera, cosa faresti? Di questo tema, oggi attualissimo, tratta la novella “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, pubblicata sulla rivista “Die Dame” fra il 1925 e il 1926. Contemporaneo e concittadino del grande Sigmund Freud, Schnitzler rivela una profonda attenzione verso quell’inconscio che il fondatore della psicoanalisi aveva imparato ad esaminare dettagliatamente con metodo scientifico. Infatti, la storia che ci viene raccontata svela quella stranissima e perenne connessione tra le due forze riconosciute dallo stesso Freud come motrici della nostra esistenza: Eros e Thanatos. In un continuo richiamarsi, esse muovono l’esistenza dei personaggi o, per usare un termine che in questo contesto è quasi un sinonimo, i loro sogni. Per l’appunto, il titolo si riferisce ai sogni fatti da una coppia di coniugi borghesi: lui medico stimato, lei brava donna di casa, con una figlia di sei anni amatissima da entrambi. La moglie sogna di tradire il marito mentre lui viene condannato e ucciso da una sconosciuta regina. Nel caso di Fridolin (questo è il nome del marito), però, si tratta di una realtà spacciata per sogno e che ne assume parecchie caratteristiche: il mistero, la totale sincerità dell’uomo che mette a nudo se stesso e i propri istinti, l’assurdità.
Nel suo vagabondare per le strade di una Vienna d’inizio Novecento, scorge una città ascosa e torbida che offre figure degne di essa e dalle quali Fridolin viene irrimediabilmente attratto, un po’ per vendetta e un po’ per il fascino dell’avventura. Si lascia trasportare dai suoi impulsi, rincorrendo qualcosa che non conosce, pur avendo l’immagine della moglie sempre ben impressa nella mente. In un certo senso la sua è una ribellione mancata, di quelle che ti portano lontano per farti ritornare più consapevole e riconoscente di ciò che avevi prima di partire. E ciò accade perché la vita “reale” si svela ben presto essere quasi una commedia delle “maschere” (alla Pirandello). E proprio la maschera e il “senso teatrale” permeano il tessuto dell’intera storia. La vicenda inizia proprio con i coniugi che si raccontano le vicende di una serata in maschera, tra reticenze e mezze verità che aprono crepe nel loro già incrinato rapporto coniugale. Un rapporto che sembra sorretto da una forza centripeta ed una centrifuga. La prima spinge i due verso nuove conquiste, ma viene subito controbilanciata dalla seconda che riporta entrambi nella tranquillità del talamo nuziale. Da questo punto di vista, emblematico rimane il fatto che entrambi non arriveranno mai ad essere materialmente infedeli l’uno verso l’altra.
Vi è una continua ricerca, è vero. Ma, Fridolin per certe circostanze e Albertine per il fatto che il suo era solo un sogno, non conquisteranno mai la meta tanto bramata dell’infedeltà. Quasi fosse uno sberleffo. Una messa a nudo della propria coscienza, dei propri moti interiori col solo scopo di renderli espliciti, di togliere le maschere e dar alito al flusso vitale che vi si nasconde dietro; senza tuttavia demolire l’incanto della famiglia unita e moralmente impeccabile: la perfetta famiglia borghese da cui partono le radici del malessere, ma nella quale si ritrova pur sempre un rassicurante rifugio. Eppure è il destino che Albertine ringrazia al termine della vicenda; lo ringrazia di poter essere usciti indenni da tutte le avventure reali e sognate, e poi aggiunge: “Ora siamo svegli, e lo resteremo a lungo”. E cosa significa questo stare svegli? L’essere vigili sui propri sentimenti, sulle proprie pulsioni, l’essere totalmente sinceri l’una verso l’altra? Comunque sia, segna un nuovo inizio, un nuovo giorno che si staglia luminoso, ma non troppo, sulle ombre del passato, annunciato dal “chiaro riso di bambina” che chiude la narrazione. Questa di Schnitzler è una novella quanto mai interessante, accattivante e complessa pur nella sua brevità. Per gli intrecci simbolici, per la cruda rappresentazione dei moti umani più profondi, per la configurazione dei rapporti di questi ultimi con la società. Il tutto reso con uno stile scorrevole che rende il testo piacevolissimo; ciò non era per niente scontato, ma un autore come Schnitzler non poteva assolutamente fallire l’impresa.