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Dossier de l'Espresso sullo "storytelling" di Renzi: cosa ha detto, cosa ha fatto (2° parte)

Creato il 02 novembre 2015 da Tafanus

Seconda puntata dell'inchiesta sullo storytelling renziano: cosa ha detto, cosa ha fatto. Sottotitolo: le pugnette separate dai fatti (Fonte: l'Espresso del 30 ottobre)
Pennetta-vinci-usopenSud - Direzione Pd, 7 agosto 2015
Era stata convocata per metà settembre la riunione del Pd per il piano sul Sud. Invece il giorno dell'inaugurazione a Bari della fiera del Levante, il premier è volato a New York per assistere alla finale degli Us Open Pennetta-Vinci. L'annunciata svolta non si è mai vista. Con la presentazione della legge di Stabilità è arrivata poi la delusione più cocente. Per settimane si è parlato di misure speciali: credito di imposta per le aziende meridionali, riduzione delle tasse alle imprese del Sud, decontribuzione per i nuovi assunti nelle regioni del Sud. Invece, solo provvedimenti ad hoc: l'Ilva di Taranto, la bonifica della terra dei fuochi in Campania (450 milioni), il completamento della Salerno-Reggio Calabria, un evergreen dei governi di ogni colore. Il Pil del Sud vede una timida luce, ma il masterplan? Sarà per un'altra volta.
Scuola - Lettera agli insegnanti, 13 maggio 2015
Più assunzioni, più soldi per gli insegnanti, 40 milioni per la formazione e il bonus di 500 euro annui per l'aggiornamento culturale del professore, l'autonomia, il rapporto scuola-lavoro, i poteri del dirigente scolastico (il preside-sceriffo...). Sulla "buona scuola" Renzi scrive una lettera ai prof e produce un video in cui si presenta armato di gessetti colorati e lavagna. Non convince, però: cortei di protesta e calo del consenso forse decisivo nella sconfitta del Pd in alcune regioni. A riforma approvata partono le assunzioni: entrano in 38.000, in 7.000 dovranno spostarsi di casa, dal sud al nord.
Trasparenza del potere - Intervento al Forum della Pubblica amministrazione, 5 agosto 2015.
E' stata la madre di tutte le promesse renziane, l'introduzione in Italia del Freedom Information Act, l'istituto di massima trasparenza della pubblica amministrazione, il diritto di ogni cittadino di accedere a dati e informazioni in possesso di un soggetto pubblico. Renzi ne parlò a Verona il 13 settembre 2012, quando si candidò per la prima volta alle primarie per la candidatura a premier contro Pier Luigi Bersani, oggi la promessa è contenuta nella riforma Madia sulla pubblica amministrazione, all'articolo 7, in cui si parla di «diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni», con relativo decreto di attuazione in arrivo.

Nell'attesa un certo grado di opacità è calato sulle spese di Palazzo Chigi e del premier. Per la Presidenza del Consiglio nel primo anno di governo Renzi lo Stato ha speso 3 miliardi e 683 milioni, 139,5 più del governo Letta, con un aumento delle risorse destinate all'acquisto di beni e servizi. E non si sa ancora quanto costerà l'acquisto e la manutenzione del nuovo aereo di Stato, l'A340 che avrebbe dovuto debuttare in occasione della visita del premier in Sud America e a Cuba prima di essere costretto al rinvio. Con i giornalisti che seguono Palazzo Chigi orari, spostamenti, cambiamenti di programma sono segnalati all'ultimo minuto. Le conferenze stampa si sono ridotte al minimo. Per l'informazione quotidiana basta l'sms che il portavoce Filippo Sensi manda ogni giorni ai cronisti che raccontano Renzi. Poco, per la trasparenza del potere.
Immigrazione - Discorso alla Camera, 24 giugno 2015
Era quasi una promessa al contrario. Il trattato di Dublino che condanna il paese di prima accoglienza a ospitare i richiedenti asilo non si può cambiare. A giugno il governo era sotto l'assedio degli sbarchi in Sicilia e della propaganda di Matteo Salvini. Il premier era costretto sulla difensiva, quasi tentato di inseguire la Lega sul suo terreno. «Non dobbiamo avere paura della parola respingimenti», aveva detto in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo. A Bruxelles aveva affrontato un duro scontro con il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, e con i paesi dell'Est sull'accoglienza di 40mila rifugiati: «Se non siete d'accordo non siete degni di chiamarvi Europa. Se questa è la vostra idea di Europa tenetevela». Dopo quattro mesi tutto sembra cambiato. A Bruxelles si discute ancora, le quote sono salite a 100.000, ma l'Italia non è più isolata, il partito dell'accoglienza è guidato dalla Merkel. L'emergenza profughi si è spostata dal Mediterraneo alle frontiere orientali. La Lega cala nei sondaggi. Renzi ha messo la firma sulla svolta: «Dublino è superato. Ciò che dicevamo da soli ora lo dicono tutti». Infine è arrivato il via libera della commissione UE: flessibilità sui conti per compensare l'impegno italiano sull'immigrazione: un bonus di 3,3 miliardi. I migranti sbarcati scesi: 139.770 contro i 153.475 del 2014. I morti no: quasi tremila, come un anno fa.
Mediterraneo
L'atteggiamento del governo italiano nei confronti della polveriera libica riassume meglio di un tweet tutta la politica estera di Renzi. La costante rivendicazione verbale di un ruolo: da protagonista, da guida, l'Italia non più comprimaria nella gestione delle grandi crisi. E la prudenza, per non dire incertezza, quando dalle parole si tratta di passare ai fatti.  L'Italia rivendica un seggio nel consiglio di sicurezza Onu e il ruolo-guida della possibile missione militare in Libia. Obiettivo ribadito da Renzi nel suo ultimo intervento alle Nazioni Unite. Ma ogni volta che è stato chiesto all'Italia di assumersi una responsabilità diretta il governo si è avvitato su una serie di stop and go. Di guerra contro l'Isis in Libia parlò esplicitamente il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: «Se la mediazione dell'Onu fallisce siamo pronti a combattere, in un quadro di legalità internazionale». Il ministro della Difesa Roberta Pinotti precisò che una spedizione in Libia avrebbe richiesto un impegno non inferiore a quello dell'Afghanistan: cinquemila uomini. Era il 15 febbraio, nonostante avesse parlato per primo di impegno in Libia, Renzi virò su una linea di cautela.

Un mese fa la scena si è ripetuta quando Renzi ha frenato sul cambio di regole di ingaggio dei Tornado in Iraq. Per ora l'unico impegno italiano è il prolungamento della missione in Afghanistan di un anno. Sullo scacchiere mediorientale l'Italia si muove in sintonia con Israele e con l'Egitto di Al-Sisi. Con attenzione verso il protagonismo in Siria della Russia di Putin. Ambizioni da potenza autonoma, che spiegano il disappunto del premier quando ha visto l'Italia esclusa dal vertice informale di Parigi su Libia e Siria: c'erano Francia, Germania, Inghilterra e l'alta rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini. E Renzi se l'è presa con lei.
(Fine della seconda puntata - Continua)


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