Terza puntata dell'inchiesta sullo storytelling renziano: cosa ha detto, cosa ha fatto. Sottotitolo: le pugnette separate dai fatti (Fonte: l'Espresso del 30 ottobre)
...povero Padoan, come s'è ridotto...
Fisco: Cancellazione di IMU e Tasi sulla prima casa.
Contributi più leggeri per gli imprenditori che assumono. Meno Irap per le aziende. Sgravi sugli investimenti. Renzi accumula annunci e a questo punto poco importa capire se si comporta da premier di sinistra oppure di destra. Il giudizio andrebbe espresso in base a due parametri: l'efficacia dei provvedimenti e i loro effetti, la loro sostenibilità, sul bilancio dello Stato.
Sul primo punto è difficile negare che le misure a favore delle imprese favoriranno la ripresa con benefici anche sull'occupazione. D'altra parte sembra quantomeno dubbio che la forte riduzione delle imposte sulla casa, che vale quasi il 15 per cento dell'intera manovra 2016, abbia di per sé un effetto espansivo. Non sono di questo parere, per esempio, i tecnici della Commissione Ue, che avrebbero preferito interventi più decisi a favore di lavoro e imprese. E questa era anche la posizione del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che ha poi dovuto allinearsi alle richieste del presidente del Consiglio. I conti tornano fin a quando Renzi può finanziare i tagli alle tasse accumulando nuovo deficit e approfittando dei margini di flessibilità concessi dall'Unione Europea, ma non si potrà proseguire all'infinito. Grazie al disinnesco delle cosiddette "clausole di salvaguardia" negoziate con Bruxelles, cioè l'aumento dell'imposizione (Iva e accise su carburanti) in caso di mancati interventi sulle spese, il premier è riuscito a presentare come "minori imposte" un intervento di ben 16,8 miliardi, che in realtà riguarda la cancellazione di tasse previste per il prossimo anno. Non si tratta quindi di tagli reali, ma solo virtuali. E per di più, le eventuali maggiori tasse non vengono cancellate, solo contabilmente rinviate al 2017, quando la nuova imposizione legata alle clausole di salvaguardia vale addirittura 26 miliardi.
Ben più concreti, ed efficaci fin da subito, appaiono invece i provvedimenti destinati ad accontentare la platea e i ceti sociali tradizionalmente meno sensibili al tema della lotta all'evasione fiscale. Pur tralasciando la voluntary disclosure, cioè il rientro dei capitali detenuti illegalmente all'estero, da cui il governo spera di incassare 2 miliardi, le mosse dal sapore elettorale sono due. La giravolta sul limite al contante nei pagamenti, che salirà da mille a 3 mila euro, dopo che Renzi nel 2012 si era pubblicamente espresso a favore di un taglio a 500 euro. E il messaggio lanciato di recente sull'intero tema dell'evasione, solo tre anni fa in cima alle priorità renziane. Nelle slide usate per illustrare la prossima Legge di Stabilità, alla voce "Lotta all'evasione" si legge "Pagare meno, pagare tutti". Il messaggio è chiaro. La caccia ai capitali in nero è passata in secondo piano rispetto al taglio delle tasse. E allora non c'è da sorprendersi se Rossella Orlandi, direttrice dell'Agenzia delle Entrate, si sente abbandonata dal governo.
Riforme istituzionali: CON LE BUONE O CON LE CATTIVE
Con la fiducia alla Camera sulla legge elettorale, con le riforme votate a colpi di maggioranza, Renzi è riuscito nella mission impossible di costringere i senatori ad auto-sciogliersi: dopo due letture dell'aula di Palazzo Madama sulla riforma della Costituzione che chiude con il bicameralismo perfetto non si può tornare indietro. Via i senatori elettivi, pari ai colleghi deputati, al loro posto arriva un'as-semblea di senatori-consiglieri regionali dai compiti vaghi.
Via le province, il Cnel, e anche le regioni potrebbero finire nel mirino del governo, con una riduzione di numero e un accorpamento, come prevede un ordine del giorno della maggioranza al Senato. La nuova legge elettorale, l'Italicum, è già stata votata, anche se entrerà in vigore nel luglio 2016. Tutto fatto, dunque? Il percorso è ancora lungo. Per approvare la riforma della Costituzione serve un referendum confermativo, per Renzi l'ostacolo non è un trasversale comitato del no Grillo-Salvini-Berlusconi-Vendola, ma l'astensionismo. E sulla legge elettorale pesano i ricorsi presentati dai comitati che già ottenero dalla Consulta la fine del Porcellum per incostituzionalità. Più ancora, le preoccupazioni di chi teme che il ballottaggio di lista previsto dalla nuova legge (nel caso che il primo partito non superi al primo turno il 40 per cento dei voti) porti con sé come dono avvelenato una sfida Pd-M5S, inedita e rischiosa per Renzi.
Do you remember eterogenesi dei fini?, è sembrato chiedere al premier il vecchio saggio e tessitore di tante mosse, l'ex presidente Giorgio Napolitano, che ha pubblicamente chiesto un ripensamento. Ma se al posto del ballottaggio di lista dovesse tornare la possibilità di chiedere il voto per una coalizione il prezzo per Renzi sarebbe alto. Dovrebbe abbandonare l'obiettivo di governare da solo, il sogno di diventare un giovane De Gaulle all'italiana, con l'introduzione di un presidenzialismo di fatto, o accontentarsi di tornare alle vecchie coalizioni: con Alfano, con Verdini, con Berlusconi, o con tutti loro messi insieme. Una piccola intesa, quasi un pentapartito.
(Fine terza puntata - Continua)