Quando penso a Dostoevskij, penso al mal di testa. Non perché Dostoevskij mi faccia venire il mal di testa. Penso al mal di testa perché immagino che uno come Dostoevskij, dopo aver scritto quei romanzi immensi, quei voli spericolati nella coscienza umana, dovesse finire le giornate con dei rovinosi mal di testa. Lui stesso, del resto, fa dire a Ivan Karamazov: “Sai a quale scopo ti sto dicendo tutto questo, Alëša? Non so, ho mal di testa e sono triste”. Quando penso a Chatwin, invece, penso al mal di piedi.
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