In tempi di muri che si alzano e di frontiere che tornano a chiudersi, sigillate da eserciti e nuove tecnologie, non fa davvero male dedicare due ore alla lettura di un piccolo grande libro, che getta un nuovo sguardo al più impenetrabile e drammatico dei confini quello che separava le due Germanie e con esse il blocco occidentale e quello orientale.
Quante cose sono state scritte, sul Muro di Berlino e su quella frontiera che in realtà spaccava il mondo a metà. Buon argomento per ragionamenti planetari e per analisi sui destini della storia, però quello che ci regala la scrittrice e giornalista tedesca Marie-Luise Scherer, con il suo La frontiera dei cani (Keller) è una visione ravvicinata, come se avesse usato un teleobiettivo capace di cogliere il dettaglio.
Il suo sguardo si concentra su quella striscia, disseminata di torrette di osservazioni e campo minati, che in quella che allora era la DDR, ovvero la Germania dell'Est, rappresentava la zona vietata. In realtà in quella striscia c'erano anche 297 villaggi, controllatissimi, isolati, abitati solo da persone di cui era riconosciuta la fedeltà al regime. Eppure per tutti quella era la "frontiera dei cani": i cani da guardia, addestrati per sorvegliare e nel caso acciuffare e dilaniare chi provava a scappare.
Un reportage, così si può classificare questo libro, per cui qualcuno ha rievocato l'espressione di new journalism. Scherer, che ricerca una scrittura precisa come un "lavoro sulle sillabe", per il quale "due frasi al giorno sono già una fortuna", ci prende per mano e ci consegna al cuore della Storia.
E tuttavia ce la racconta dal punto di vista della quotidianità, di un mondo che è al centro e allo stesso tempo sta ai margini: contadini e militari, fuggiaschi e cani, per farci capire davvero cos'è la frontiera.