Dove investire se l’Europa entra in una stagnazione giapponese
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I recenti movimenti nei mercati globali sulle preoccupazioni della banca portoghese Banco Espirito Santo hanno messo a dura prova i nervi del mercato dopo un lungo periodo di volatilità repressa. Nonostante la calma attuale, tutti sanno che la volatilità tornerà un giorno e nessuno vuole essere preso in contropiede quando arriva. Quindi dovremmo cercare di prevedere la situazione negativa e anticipare il mercato.
Al di là di questo contesto, vi è una mancanza di certezza nel mercato e nei rendimenti dei titoli dei paesi periferici, della zona euro. Dove si stanno dirigendo nel breve termine – e quali sono esattamente i rischi connessi alla detenzione di questi titoli in portafoglio ?
Mentre i rischi continuano ad invadere i media, i rendimenti hanno iniziato ad elevarsi, così il vantaggio di chi acquista azioni in previsione di ulteriori cali diventa meno evidente. La recente decisione della Banca centrale europea di avviare le operazioni di rifinanziamento a lungo termine ha deluso. Questo rifinanziamento può fare qualcosa per contribuire a facilitare l’accesso al credito nel sud nel medio termine, ma difficilmente sarà efficace nella lotta contro la deflazione.
In particolare, potremmo aver bisogno di aspettare più di sei mesi per vedere qualsiasi impatto netto di liquidità, dal momento che gli stanziamenti a settembre e dicembre coincidono con precedenti rimborsi e ci lasciano con una potenzialmente preoccupante situazione per i prossimi sei mesi, in cui il bilancio della banca centrale continuerà a contrarsi, rendendo l’impegno verbale su cui sarà sempre più difficile fare affidamento.
Scavando più a fondo, e al di là dei timori su ciò che le sollecitazioni provenienti dai test bancari della BCE, il semplice passare del tempo in sé potrebbe complicare le cose. La recente tornata di macroeconomici ci ha dimostrato come le previsioni di crescita del 2014 non fossero poi così rosee, ed è ovvio che, anche se sarà evitata la deflazione, a rendere le cose più difficili sarà una inflazione molto bassa. In realtà se la zona euro crolla di nuovo in recessione non potrà dare la colpa a Vladimir Putin, ma ai propri parlamentari che non riescono a mettersi d’accordo.
Il punto chiave da prendere in considerazione da tutto questo è che il PIL nominale nel corso dei prossimi due anni può a mala pena aumentare, e non dimentichiamo che i livelli del debito sovrano dei paesi più indebitati potrà solo salire. Questo è importante in quanto tutte le proiezioni ufficiali vedono questi livelli, per quest’anno e il prossimo più alti, ma ora queste stime saranno sicuramente rivisitate.
Secondo gli ultimi dati del PIL trimestrale, l’economia francese ha ristagnato, ma più preoccupante per i politici è il PIL tedesco, meno 0,2 su base trimestrale, lasciando la Spagna come l’unica delle quattro grandi, a presentare una performance di crescita positiva (+0,6 trimestrale). Mentre la resistenza immediata sulla crescita a breve termine potrebbe essere l’impatto sul sentimento di una crisi sulla frontiera tra l’Ucraina e la Russia, l’area euro è ora chiaramente bloccata in una qualche forma di stagnazione a più lungo termine.
L’Europa sta diventando il Giappone del 1997. E’ un’espressione che si sente sempre più spesso, e fa paura. Le persone che dicono questo solitamente sottolineano il fatto che i rendimenti dei bund tedeschi a 10 anni sono ormai sotto l’1% e il Giappone iniziò così, con i Bond JGB a 10 anni.
Nonostante tutte le smentite di Mario Draghi che la zona euro non è un altro Giappone ci sono un sacco di motivi per pensare che questo potrà avvenire. Evidentemente i membri della Commissione europea, i membri del Consiglio direttivo della BCE, e leader politici di alto livello a Berlino, Amsterdam o Parigi non sono né teorici né intellettuali. L’ipotesi di stagnazione è a questo punto più simile a una strategia di ricerca teorica e i politici sono comprensibilmente riluttanti a prendere decisioni sulla base di ciò che è ancora in gran parte una ipotesi.
Dove investire allora in un periodo di deflazione ?
Né l’inflazione né la deflazione fanno bene agli asset rischiosi. L’inflazione sopra le attese fa aumentare la volatilità e spinge le banche centrali ad alzare i tassi e questo comporta un rallentamento dell’economia. I passati periodi di alta inflazione negli Usa e nelle altre economie hanno portato al ribasso i multipli azionari e a un rialzo degli spread sui crediti.
D’altro canto nemmeno la deflazione fa bene agli asset rischiosi, mentre il suo impatto sul mercato obbligazionario è più incerto. Di solito nei Paesi alle prese con la deflazione gli investitori preferiscono gli investimenti liquidi o il reddito fisso perché i loro ritorni reali sono più interessanti. Per questa ragione l’asset allocation della Domino Solutions è positiva sui bond dell’area euro e le azioni a larga capitalizzazione, in particolare, su quelle della periferia. Mentre mantiene un giudizio di sottopeso per le azioni europee a bassa capitalizzazione.
La situazione per l’Italia
Il fatto è che, nonostante l’incontro tra Draghi e Renzi, nulla di sostanziale sta per accadere in Italia. Il governo è sotto pressione e sta per chiedere aiuto e Draghi non agirà prima che le cose non cambino.
Uno stimolo di domanda di 80 euro (o di 8000) comunque serve a poco se il sistema produttivo italiano non è competitivo: i consumi andranno in larga misura a cellulari (cinesi), auto (tedesche o giapponesi) televisioni (coreane) e vestiario (rumeno o tunisino). Nella spending review vanno prima fissati obiettivi quantitativi in linea con un taglio drastico delle imposte, ad esempio 100 miliardi in due anni. Poi il commissario individua una scala di priorità e infine il governo decide dove si abbatte effettivamente la scure. I debiti non stimolano la crescita sostenibile, altrimenti l’Italia sarebbe la locomotiva d’Europa dagli anni 70 e vanterebbe tassi di crescita da far invidia alla Cina.
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