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La prima volta che ho sentito parlare della Val Cavrì avevo da poco superato i vent’anni. Colui che raccontava le stranezze di quel luogo era una vecchia memoria della Valgrande; oggi non ricordo il nome ma le fattezze, quelle si. Aveva superato i settanta, quasi sicuramente, e le fatiche della vita si potevano misurare sulle pieghe del volto. I capelli, bianchi e arruffati, coprivano una grande cicatrice sulla fronte. Le mani, grandi e scure, si agitavano nervosamente seguendo le mille parole che uscivano dalla sua bocca. Le movenze del corpo lasciavano trasparire i dolori degli anni. Beveva vino nero accompagnando un panino al salame. Mi sono avvicinato a lui con il rispetto che si deve alle persone che hanno lottato con la vita ed hanno vinto, o forse no, ma almeno ci hanno provato. Mi ha guardato con pregiudizio perché venivo dalla città e con lui avevo pochi punti in comune, o forse questo pensava prima che gli offrissi un altro bicchiere di vino. Ha provato a rifiutare, ma dopo una breve insistenza ha capito che era meglio così. Mi sono presentato ed ho notato in lui un cambiamento d’umore; conosceva un certo mio parente che aveva lavorato con lui, quindi conosceva anche me. Si è fidato ed ha cominciato a raccontare. I minuti scorrevano veloci, le nuvole in cielo formavano strane figure ed il sole cominciava a scaldare la nostra conversazione. Due ore dopo mi sono congedato con la promessa che sarei tornato da lui; purtroppo non l’ho mai mantenuta ed oggi me ne pento. Ho preso l’auto e mi sono diretto verso casa; tre tornanti dopo avevo quasi dimenticato la sua richiesta di non andare in quel posto maledetto e dimenticato da Dio e da buona parte degli uomini.
Ho fatto passare qualche settimana con la speranza che i colori migliori dell’autunno si facessero intrappolare nella mia macchina fotografica. Una domenica mattina mi sveglio prima dell’alba e parto alla ricerca del luogo dimenticato alla ricerca di emozioni. Arrivato all’alpe Ompio lascio l’auto e mi incammino; dopo due ore buone giungo a Corte Buè, dove incontro un cercatore di funghi che mi guarda con disprezzo per la paura che gli rubassi il possibile bottino della giornata. Lo saluto e mi dirigo verso Orfalecchio; non avevo tempo di prestare attenzione alle bizzarrie degli uomini e del loro pensare. Dopo mezzora cominciano i problemi di orientamento. La cartina mi indicava un sentiero che invece non esisteva più, aggredito dalla natura che tornava sovrana e copriva tutto quello che era stato. Ho cercato di non perdermi d’animo, ma non ci sono riuscito e dopo breve tempo sono tornato sui miei passi risalendo per l’alpe da poco lasciata. Le fotografie erano ottime. Il mio umore non troppo, ci avevo provato ma non mi bastava. Tornando a casa pensavo alla prossima escursione alla ricerca della Val Cavrì. Ma la vita è strana e dopo breve tempo mi dimenticai di quel posto e delle sue leggende. Passano gli anni e con essi anche la mia voglia di conoscere e scoprire le storie dimenticate delle nostre valli. Ma i pensieri e le parole si possono dimenticare i luoghi no. Dieci anni dopo mi ritrovo con un amico in un rifugio vicino al confine svizzero dell’alta val Formazza. Non ho ancora capito come sia successo ma nelle mie mani finisce un libro che parla di vipere e serpi: racconta di quella valle dirupata, cattiva e pericolosa che si trova nel cuore selvaggio della Valgrande. Un brivido mi scorre lungo la schiena; ma come avevo fatto a dimenticare, a lasciare in un cassetto chiuso della mia memoria quel luogo e le sue leggende? Ne parlo con il mio vecchio amico ma in lui non ritrovo la forza e la volontà che mi assalì molti anni prima. Decido di raccontare a lui tutto quello che trovo, a fatica, nella mia testa. Il tempo, come sempre, passa veloce ed io non riesco più a controllare le mie emozioni. L’amico mi guarda perplesso chiedendosi come poter credere a tutte quelle storielle di montagna, ma la mia energia alla fine lo ha contagiato. E’ deciso la settimana seguente si andrà alla ricerca del luogo dove le vipere cadono dal cielo.
La settimana scorre tra il lavoro, la famiglia e la lettura degli appunti presi molti anni prima.
Finalmente arriva l’alba del sabato…………
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