
Dall'altra parte del ponte, dietro la locanda, si innalza brusca una parete di roccia: a questa risulta addossato un muro a secco, dal profilo visibilmente inclinato. Questo muro, a prima vista senza alcuna funzione, è in realtà una scalinata in pietra, con le lastre di gneiss aggettanti a testimonianza di un'intensa attività agropastorale. Tramite queste scalinate di pietra si raggiungono, in tre ore – da queste parti si usa misurare le distanze in questo modo –, alcuni degli alpeggi. Le agili vacche del Canton Ticino ci si abituano rapidamente. E sono diventate talmente esperte in questo, che l'ampia scalinata che porta alla chiesa è stata chiusa con paletti piantati a breve distanza l'uno dall'altro per evitare che le mandrie in partenza verso i pascoli raggiungano in gruppo la messa mattutina, o ancora, che qualche bestia solitaria percorra inconsapevole la navata per andare a brucare tra gli ornamenti floreali dell'altare maggiore. Il villaggio di Bignasco, in cui vive gran parte delle popolazione, è un gruppo di case a ridosso del fianco della montagna, attraversato da un'ombrosa strada di paese, delimitata da due file di muri a secco; lungo la via principale si aprono qua un cortiletto, là una piazzetta[1], muniti di sedile in pietra e fontana, all'ombra di una pianta di vite spuntata tra le pietre. Queste case non hanno nulla in comune con il tipico borgo svizzero. L'abbandono dell'uso del legno in favore di un materiale ugualmente pratico, ma più robusto, unito a quel qualcosa all'esterno delle case, in occasione della nostra ultima visita, mi hanno riportato con la mente verso le lontane cittadine di pietra della Siria centrale. Qui a Bignasco, come in quelle terre lontane, ho notato che l'ingresso principale di ogni gruppo di abitazioni è un passaggio alto da 2,5 a 3 metri, ugualmente molto ampio. Ricordo come, quando ero più giovane, ero stato rimproverato da un meritevole missionario per non aver riconosciuto in tali porte l'opera dei giganti, perciò ho indagato febbrilmente alla ricerca di tradizioni su qualche Og locale, magari un collegamento tra il gigante del Mettenberg e gli attuali svizzeri. Ma la gente del posto ignorava l'argomento e non ho ottenuto altre risposte se non che quegli ingressi avevano la larghezza giusta per fare passare un mulo con il carico. Le persone benestanti della Vallemaggia sembrano apprezzare molto il fascino di questo luogo, in cui le acque provenienti dalla Val Bavona si gettano nel corso d'acqua della vallata principale. Sul promontorio tra i due fiumi, ciascuno attraversato da un ponte dall'ardita arcata, esiste un quartiere che un funzionario d’asta non esiterebbe a descrivere come formato da «villette indipendenti» allegre, dalle persiane colorate, adorne di porticati e verande allietati da grappoli d'uva e fioriture di oleandro. Una di queste, dalle finestre del piano superiore, domina una visuale perfetta sulla Val Bavona: è la «Posta», dimora del signor Patocchi, che intrattiene i pochi stranieri in visita al villaggio. Il nostro ospite è un uomo tra i più noti e facoltosi del Paese, nonché commissario di governo del distretto della Vallemaggia, carica che nella sua famiglia ha ormai raggiunto la terza generazione. Ha rappresentato il Canton Ticino in diverse occasioni pubbliche, è deputato del Gran Consiglio Ticinese e membro del Club Alpino Svizzero. Il carattere energico della sua stirpe è ben visibile anche nell'indole attiva e briosa della sorella, che trabocca di orgoglio familiare per i successi del fratello e soprattutto per la costruzione del ponte della nuova ferrovia del San Gottardo, per il quale il Patocchi aveva accettato il contratto: una «cosa stupenda», una «vera opera romana»[2]. Indubbiamente, gli italiani di oggi hanno ben chiaro l'esempio dei loro predecessori. Non solo nelle grandi opere come il tunnel del Moncenisio o la ferrovia costiera da Nizza a La Spezia, ma anche nelle strade secondarie delle vallate più remote, il viandante trova tracce frequenti della tradizione e dell'ingegneria stradale degli antichi romani. L'abilità e le capacità mostrate nella realizzazione e nel miglioramento dei mezzi di comunicazione anche nelle località più sperdute – spesso, bisogna dirlo, con ben poche indicazioni durante il faticoso lavoro di apertura del tracciato – hanno la meglio se messe a confronto con la lentezza di numerosi «comitati» nordici, solo in grado di vantarsi della loro determinazione. Però, a volte, questo zelo, retaggio di un tempo, va al di là del buon senso: ne è testimonianza la seguente storia presa da un notiziario del luogo. Caspoggio è una frazione in posizione elevata, su un verde pendio della Valmalenco, sul versante orientale del Bernina. I nuclei alle quote più basse, nel 1874, avevano appena completato una nuova strada a cui naturalmente voleva collegarsi anche Caspoggio. C'erano due varianti per effettuarlo, una stimata 40.000 lire (£ 1600), l'altra 15.000 (£ 600)[3]; la variante meno costosa, tuttavia, prevedeva un tempo di percorrenza superiore di 22 minuti. Gli audaci funzionari di Caspoggio volevano risparmiare sui tempi a discapito dei costi. In quel frangente, il Corriere Valtellinese presentò una sonora protesta contro questa deliberata spesa eccessiva, sottolineando la mancanza di coerenza con i fatti, dato che le entrate annue del comune non superavano le £ 80 (200 lire) e ci si poteva permettere solo di pagare lo stipendio annuale al direttore scolastico e all'insegnante, pari a £ 6 (150 lire) ciascuno. «Miei cari signori di Caspoggio», disse l'accorto consulente, «vale la pena indebitare il comune per riuscire a portare burro e formaggio qualche minuto prima al mercato?» Ancora non sono riuscito a sapere quale sia stata la decisione finale di Caspoggio. Ma torniamo alla Vallemaggia e al suo rappresentante. Il signor[4] Patocchi occupa una certa posizione nel paese e la sua casa lo dimostra. Ma è anche un uomo del Sud, come si nota dalla sua locanda. Questo è il peggio che si può dire di lui; per il resto, gli inglesi abituati a viaggiare non avranno molto di cui lamentarsi. I letti sono puliti, il territorio dà pesce e pollame e, con un preavviso di qualche ora, è possibile raccogliere abbondanti provviste per lo scalatore più vorace. È giunto però il momento di lasciare Bignasco e seguire la valle principale, che da questo punto in poi prende il nome di Val Lavizzara. Per quattro o cinque miglia risaliamo un burrone suggestivo, in cui le montagne si innalzano in aspre pareti, livello su livello. Eppure ogni recesso trabocca di lucido fogliame e le cenge che si susseguono non hanno quella spaventosa irregolarità, ma sono solo in lieve pendenza, ogni prato è ben tosato e punteggiato da fienili in pietra. Gli squarci che si aprono nelle pareti rocciose sono solo striature colorate più vivide; i detriti rovinati a valle non sono più riconoscibili, perché a ridosso di questi sorgono fabbricati rustici e le piante di vite ne dissimulano le forme aspre. Il fiume, che non è un torbido mostro grigiastro — come lo sono i draghi spaventosi nelle leggende delle Alpi settentrionali — scorre in una stretta fenditura, in fondo alla quale si scorgono qua e là pozze di colore blu intenso o cascatelle spumeggianti. Poco oltre, le pareti si aprono, il fiume scorre più placido: lungo le sue rive possiamo osservare pescatori indaffarati, armati di una lunga canna fissa. Anche se è mattina presto, alcuni sono già di ritorno e tra di loro un curato regge una cesta ben colma delle pietanze per il suo pasto del venerdì.

IL BASODINO
La Val Bavona rappresenta l'ingresso più spettacolare alla Vallemaggia. Il viandante che scende dalle fredde cime e dai cupi pascoli del Gries trova un piacevole rifugio dalle intemperie nella piccola locanda aperta, alcuni anni or sono, sul margine della rupe ai piedi della quale il fiume Toce precipita formando una delle più impressionanti cateratte delle Alpi centrali[5]. Vale la pena passare un pomeriggio seduti sulle rocce, nei pressi della cascata roboante e spumeggiante, a osservare l'infinita varietà delle forme del getto d’acqua che si infrange nella sua violenta caduta. Purtroppo, raramente si dedica il tempo necessario allo studio delle cascate. Dal luogo in cui ci troviamo la vista è molto più suggestiva rispetto allo sguardo frettoloso che normalmente si riserva a questa cascata, quando magari la degniamo solo di un’osservazione fugace dal di fronte, così sacrificando i dettagli in nome di un effetto generale, che spesso è tutt'altro che impressionante o pittoresco. Il mattino dopo, il proprietario della locanda è molto lieto di indicarci la strada che in tre-quattro ore porta in vetta al Basodino. L'ascesa è semplice, per nulla pesante: un ripido sentiero lungo un pendio dal terreno umido e ricoperto di fiori, un passaggio sugli alpeggi, con la vista che domina le montagne rossastre del Gries, poi su per ripide rive di neve ghiacciata e infine un entusiasmante tratto sulle rocce più elevate. La montagna è un belvedere naturale sull'Oberland bernese e il Monte Rosa e, dato che la sua cima svetta più in alto rispetto ai rilievi vicini, regala una vista magnifica verso il territorio italiano. Tuttavia, le montagne della Vallemaggia mi sono ostili. Qui, come sul pizzo Campo Tencia, ho visto solo uno un cippo di vetta e un mondo di nebbie che rotolavano lungo le pendici delle montagne. La notte precedente alla nostra ascesa è stata buia e inclemente.Il vento ruggiva contro la cascata e il tuono scuoteva l'edificio della locanda come se avesse l'intenzione di sradicarlo letteralmente dalla rupe. Ma la triste alba grigiastra aveva lasciato qualche speranza; i nastri di nebbia che ancora drappeggiavano i monti sembravano strascichi di un dolore ormai del tutto logoro; sopra le nostre teste, il cielo, pallido e incerto, più che minacciare l'arrivo imminente di altre avversità, parlava di una tempesta ormai conclusa. Ma la crisi era stata più violenta di quanto ci fossimo immaginati in quel momento: ci vollero ventiquattro ore prima che il cielo potesse mostrare il suo volto sereno dalla cristallina chiarezza estiva.

Val Bavona
Alcuni di questi girovaghi fanno ritorno, alcuni in condizioni economiche nettamente migliori, e costruiscono grandi case bianche — «palazzi»[7] li chiamano i loro amici — tra i familiari boschi di castagni; altri, come il nostro amico, non hanno avuto lo stesso successo, ma sono comunque ritornati, non senza qualche soddisfazione, alla loro vita solitaria di un tempo sulle montagne, ad accudire vacche e capre. Non ci possono essere prove più concrete di queste del reale incanto che esercitano le montagne sulla mente di chi ci è cresciuto: la dedizione di questi paesani che lasciano senza esitazioni una vita frenetica all'altro capo del mondo per tornare alla monotonia dell'alpeggio in estate e del borgo in inverno[8]. Oltre le malghe, il sentiero e il torrente scendono ripidamente in una conca profonda, il punto di raccolta delle acque provenienti da laghetti e nevai in quota, che scendono lungo i precipizi granitici in una successione di piacevoli cascate. La valle, priva d'ombra, è chiusa all'estremità inferiore da un contrafforte sporgente della montagna, a est. Mentre ci trovavamo sullo sperone, vedevamo sotto di noi una valle molto profonda. Montagne ripide circondavano il bacino, sul cui fondo erano disseminati enormi massi staccatisi dalle aspre pareti. In alto, sopra di noi, si innalzavano i baluardi meridionali del Basodino, gigantesche rupi, sul cui margine superiore scintillava una cornice di ghiaccio. Ai nostri piedi San Carlo, il villaggio più alto della Val Bavona, ammiccava tra un fitto fogliame.



Claudia Migliari.
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[1] In italiano nel testo. N.d.T. [2] In italiano nel testo. N.d.T. [3] Riporto anche la conversione in sterline per fedeltà al testo originale. N.d.T. [4] In italiano nel testo. N.d.T. [5] Le cascate di Krimml, nel Tirolo, sono probabilmente le cascate che mostrano la maggiore unità di tutto l'arco alpino per altezza del salto, forza idrica e per la suggestività dei dintorni. Esistono numerose cascate nel gruppo dell'Adamello che un pittore potrebbe preferire a quelle del Toce. [6] Tra gli anni 1850-56, un ottavo dell'intera popolazione, e un quarto della popolazione maschile, lasciò le sue terre. Tra gli emigranti c'erano 324 uomini sposati, ma solo due portarono con loro le consorti! [7] In italiano nel testo. N.d.T. [8] I pastori di queste malghe possono accedere alla Val Formazza senza scavalcare il Basodino. La «Bocchetta di Val Maggia», un varco nella cresta rocciosa, sull'angolo nordorientale del ghiacciaio del Cavergno, permette loro di raggiungere i pascoli vicino al passo San Giacomo, poi da lì spostarsi verso Airolo o le cascate del Toce senza più dover risalire.