“Dove va il mondo?” 2a edizione – Resoconto della conferenza

Creato il 20 agosto 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il 2 Agosto scorso si è svolta presso Ville di Fano, Montereale (AQ), la seconda edizione dell’iniziativa “Dove va il mondo?”, conferenza dedicata all’analisi degli attuali fenomeni di maggiore rilevanza geopolitica. L’iniziativa è stata realizzata dall’Associazione delle Colline in collaborazione con Identità Europea e con l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Anche questa edizione ha visto la partecipazione di relatori dell’IsAG: Giacomo Guarini, Direttore del programma di ricerca “Dialogo di Civiltà” e Dario Citati, Direttore del programma di ricerca “Eurasia”.

L’intervento di Giacomo Guarini ha riguardato l’analisi della situazione attuale nell’area del Vicino e Medio Oriente, con particolare attenzione alle vicende legate all’ISIS. L’affermazione dell’autoproclamato califfato è stata collocata nella più ampia cornice dei cambiamenti di vasta portata che hanno riguardato l’area almeno a partire dallo scoppio delle rivolte arabe, più di tre anni fa. In particolare, come anche ormai noto da quanto riportato dai media, la formazione armata dell’ISIS avrebbe cominciato ad operare in Siria contro il governo di Assad, per poi spingersi entro i confini dell’Iraq, giungendo in tempi brevi a controllare vaste porzioni di territorio fra i due paesi. L’affermazione dell’ISIS – e le violenze ed espulsioni di massa effettuate nel “califfato” a danno di cristiani e di altre minoranze etnico-religiose – rappresenta pertanto senza dubbio un frutto amaro dei vasti movimenti di destabilizzazione ribattezzati come “Primavere”, per i quali non è mancato – soprattutto nelle fasi iniziali – un deciso sostegno occidentale. Gli effetti della vasta ondata destabilizzatrice sono oltretutto ancora ben evidenti in altre aree nelle quali le conflittualità esplose non sembrano diminuire, come mostrano, ad esempio, l’attuale scenario siriano e libico.

Per molti commentatori giornalistici la gestione dell’affaire ISIS avrebbe costituito ulteriore conferma dell’indecisione e della debolezza della politica estera di Obama. Il relatore ha rilevato che nella valutazione dell’operato USA non devono invero omettersi fondamentali elementi della strategia elaborata sotto la nuova amministrazione statunitense, caratterizzati in particolare da un approccio che tende ad escludere il coinvolgimento militare indiretto, ma che nondimeno cerca di mantenere il controllo delle proprie sfere di influenza con il sostegno indiretto a formazioni politiche – quando non militari o paramilitari – utili ai propri scopi. Diversi analisti statunitensi hanno difatti teorizzato un approccio soft nell’area, che escluda interventi militari diretti e su larga scala (quale quello contro l’Iran, da tempo non più oggetto delle speculazioni di giornalisti ed analisti) ma che invece persegua un equilibrio fra le potenze regionali – in particolare Arabia Saudita, Iran e Turchia – che induca le stesse a reciprocamente controllarsi e limitarsi, di modo che nessuna di esse possa emergere a danno delle altre e ancor meno per mettere in discussione la sfera d’influenza statunitense nell’area.

Anche sulla base di quanto accennato, non è da escludere che i rivolgimenti prodotti nell’area dall’ISIS possano in realtà risultare idonei a favorire determinati obiettivi strategici statunitensi. La presenza dell’ISIS costituisce ulteriore elemento di frattura nello spettro di conflittualità inter-etniche ed inter-confessionali esplose con le “Primavere”, in particolare nella dialettica fra sciiti e sunniti sul piano religioso, piano inscindibile da quello della competizione fra potenze regionali, Arabia Saudita ed Iran in particolare. I rivolgimenti hanno inoltre dato forte spinta all’autonomia del Kurdistan, che è ricco di risorse petrolifere, in buoni rapporti con Israele, nonché potenziale ‘arma di ricatto’ per la stabilità della Turchia, a forte presenza etnica curda. Un Kurdistan pienamente autonomo non costituisce affatto un elemento nuovo del pensiero strategico-militare statunitense ed israeliano e rientrerebbe anche nel più volte teorizzato ridisegno dei confini territoriali degli stati dell’area, il quale da un lato risponderebbe più fedelmente alla distribuzione delle etnie, e dall’altro porterebbe alla creazione di entità statuali più deboli e frammentate e, come tali, più controllabili.

Anche in ragione dell’evidente debolezza della compagine comunitaria europea in politica estera, si ritiene che tentativi concreti per la stabilizzazione dell’area possano essere compiuti solo con il pieno coinvolgimento di potenze globali e regionali della massa continentale eurasiatica; prime fra tutte Iran e Russia, che difatti hanno mostrato – nella questione ISIS – volontà ed impegno, in primo luogo militare, nell’affrontare la crisi quando il blocco occidentale sembrava ancora in posizione di stallo.

La parola è passata a Dario Citati, che ha trattato i grandi cambiamenti che hanno caratterizzato il popolo e la nazione russa negli ultimi anni, tanto sul piano politico quanto su quello culturale-spirituale.

La riemersione della Russia come potenza globale nello scenario internazionale è dovuta ad una serie concomitante di fattori, fra i quali va tenuta sicuramente in grande considerazione la politica attuata a partire dal primo mandato presidenziale di Putin, con la quale si è registrata una decisa inversione di rotta rispetto al primo decennio di vita post-comunista del paese, nel quale le condizioni socio-economiche della popolazione ed il peso geopolitico del paese avevano sicuramente subìto gravi involuzioni. Alla ‘rinascita’ russa hanno potuto sicuramente contribuire fortunate congiunture internazionali, quali l’aumento consistente del prezzo delle materie prime nel corso del primo decennio del nuovo secolo; tuttavia la politica attuata a livello centrale ha con altrettanta certezza permesso di massimizzarne i benefici. Nel corso degli anni, il governo centrale è stato in grado di riprendere il controllo sulle risorse strategiche del paese facendovi leva per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e per una ritrovata influenza politica a livello globale. Su quest’ultimo punto, degni di nota sono i successi del governo nel rinnovato legame con diversi dei paesi che avevano fatto parte dell’area di influenza sovietica. È proprio su questo piano politico che deve cercarsi una fondamentale chiave di lettura dello scontro di Mosca con il blocco occidentale, evidente negli ultimi mesi sulla questione della crisi ucraina.

Nella vicenda si è vista una compagine europea sostanzialmente subordinata alla linea dura statunitense. È invero emblematica sul punto la polemica che ha coinvolto il ministro Mogherini, la quale aveva espresso opinioni più concilianti verso la Russia (in sostanza ribandendo l’importanza del progetto di gasdotto South Stream), salvo poi venire aspramente criticata nella compagine comunitaria al punto da dover rettificare le proprie opinioni, ribadendo così la linea comune occidentale verso Mosca.

Che la subordinazione politica dell’Unione Europea agli USA si rifletta anche sulla dialettica con la Russia non deve stupire. Anzi, è proprio in questo scenario che l’influenza di Washington si fa sentire in forma preminente e ciò riflette chiaramente uno degli imperativi strategici basilari della superpotenza americana. In ambienti politici e militari statunitensi è spesso emersa infatti la viva preoccupazione che desterebbe il consolidamento delle relazioni euro-russe. Europa e Russia rappresentano infatti due realtà complementari la cui integrazione risulterebbe certamente idonea a minare il primato mondiale degli USA, e ciò in ragione del potenziale di risorse naturali, di know-how tecnologico e di controllo geografico – per enumerare solo i più evidenti fattori di forza – che ne consoliderebbero reciprocamente il peso nell’agone globale. Certamente anche nella questione della ‘guerra delle sanzioni’ con la Russia, l’Europa partecipa ad una competizione politica in cui ha perso in partenza, dal momento che si batte per una posizione che evidentemente lede i propri interessi economico-commerciali.
Per quel che riguarda i cambiamenti nel mondo culturale russo, il dott. Citati si è soffermato sulla riscoperta del senso religioso negli ultimi anni presso la popolazione. Il fenomeno è stato senz’altro supportato da spinte (o – si potrebbe speculare – strumentalizzazioni) da parte del potere politico in tal senso, ed indicativi sono al riguardo diversi gesti di pubblico rilievo compiuti dai Presidenti Medvedev e Putin, quali – per fare solo un esempio – l’augurio fatto da quest’ultimo al neo-eletto Pontefice Bergoglio, con un messaggio che, richiamando i valori cristiani comuni alla Russia ed alla Santa Sede, andava ben oltre le dichiarazioni di circostanza di altri capi di Stato o di governo di paesi pure marcati da una tradizione cristiana.

Ha rilevato tuttavia Citati come la riscoperta del sacro in Russia non possa ridursi alle spinte politiche in tal senso, essendo la portata del fenomeno di tale estensione da potersi ritenere al più favorito da queste ultime, ma non certo indotto. Resta l’interrogativo se da una simile tendenza sul piano religioso possa trarre linfa un Occidente ormai ‘despiritualizzato’. La risposta può essere per certi aspetti positiva, senza tuttavia dimenticare talune peculiarità del cristianesimo ortodosso russo (e ortodosso in senso lato) che possono risultare problematiche; fra queste, il forte intreccio di rapporti tra potere politico e spirituale, ma anche la forte compenetrazione tra identità religiosa ed identità etnico-nazionale, resa ancor più salda dal carattere autocefalo delle istituzioni ortodosse, ed anche parziale motivo del rinnovato fervore religioso nel paese.

Più in generale, il dott. Citati ritiene che elemento interessante e ancora ben presente nel sostrato della cultura russa è quello di una vocazione “imperiale” del paese, con tale espressione intendendosi una forma politica idonea a proporre un modello di coesistenza e di superamento delle conflittualità inter-culturali non basato su un sincretico ed ‘apolide’ multiculturalismo, bensì sull’affidamento a comuni istituzioni politiche che, pur nell’affermazione dei principi cristiani alla base della cultura e della tradizione russa, siano garanti delle diversità culturali ed insieme luogo di sintesi delle stesse. In quest’ultima visione del mondo, ritiene Citati, l’Occidente avrebbe molto da imparare, ed avrebbe invero avuto molto da imparare quando, nel rifiutare in toto una visione del mondo imperiale, finì per abbracciare quelle esasperate ideologie nazionalistiche che hanno tragicamente lacerato il continente europeo nel secolo scorso.

Moderatore dell’incontro è stato Michele Antonelli, consulente internazionale e Presidente dell’Associazione delle Colline, intervenuto nel corso della conferenza su diverse questioni. Antonelli ha richiamato, fra l’altro, la propria esperienza nei Balcani degli anni ‘90 – travagliati da ben noti e sanguinosi conflitti armati – sottolineando le analogie riscontrate con gli scenari attuali di conflitto laddove si ha l’impressione che certe forme di destabilizzazione e di scontro inter-culturale non siano totalmente spontanee, ma rispondano a precisi obiettivi strategici perseguiti dai grandi decisori politici.


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