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“Down with NGO thieves”, scrivono sui muri d’Haiti

Creato il 16 gennaio 2012 da Cren

“Down with NGO thieves”, scrivono sui muri d’HaitiDa Haiti scrive Francesco, è l’anniversario del terremoto, sono stati spesi miliardi di euro dalle oltre 10.000 ONG e dalle decine di enti nazionali e internazionali dell’industria dell’assistenza. Risultati: incredibilmente inferiori agli investimenti e al rumore della grancassa del aidmarketing. Lo dicono tutti, anche gli organi ufficiali. Nel frattempo, mentre tutte queste immense risorse erano dispiegate, 7000 morti di colera. La povertà gestionale, la spiega, dai campi profughi, Francesco, volontario, fuori dal sistema.

La mia paura, come quella della gente, è che si ripeta quanto accaduto in tante parti del mondo dove i campi profughi sono diventati un business. Per l’industria dell’assistenza che continuava a procacciarsi denaro per mantenerli; per gli operatori che bivaccano e guadagnano fior di soldi; per i governi che trattengono parte dei fondi; per la mafie che si creano per spartirsi gli aiuti e per gli abitanti più furbi che approfittano dei soldi che girano. Qua sta ripetendosi quanto denunciato in altre situazioni analoghe. Basti pensare che solo Save The Children spende USD 200.000 al giorno di stipendi per funzionari locali; si calcola che almeno 15.000 haitiani lavorino, nelle forme più diverse per le ONG e tanti per fare nulla all’interno dei campi. Per i donatori dei messaggini questi sono soldi spesi per la ricostruzione di Haiti.

Quanta gente cìè ancora nei campi profughi è difficile stimarlo nell’approssimazione generale, si pensa almeno 650 mila persone in 800 campi che dà provvisori stanno diventando schifose baraccopoli, senza servizi, senza sicurezza, senza prospettive per gli abitanti. L’ultima moda è di costruire delle casupole di compensato (costo euro 7000) destinate a sfasciarsi con le piogge e dare l’impressione di stabilità dove tutto dovrebbe essere solo una sistemazione d’emergenza, per ricostruire le case e dare opportunità alla gente rifugiata di tornare alle loro attività, nella capitale e nei villaggi. Nel 2011 sono stati spesi USD 1.500 per ogni rifugiato, il doppio o il triplo del reddito pro-capite annuo.

L’economia degli aiuti e dell’assistenza (invece che dello sviluppo) sta annullando l’economia agricola dell’isola e ha indotto i contadini a venire nella capitale ad allargare il numero dei rifugiati che, nel gran marasma della distribuzione d’aiuti, almeno riescono a sbarcare il lunario. Pochi i soldi investiti nei villaggi e fuori dalla capitale per sostenere economia e servizi per le persone nelle comunità d’origine. Si spendono milioni di euro ma anche a Port au Prince rimangono macerie nelle strade ed il simbolo dell’inefficienza degli aiuti, il diroccato palazzo presidenziale. Hai ragione se devo fare una stima su 100 progetti che ho visto (quasi tutti concentrati sull’educazione e la sanità) solo una decina hanno un senso, sono in fase di completamento, non sono costati cifre iperboliche. L’eccellenza è qui minima, come l’impegno serio verso i beneficiari anche da parte degli operatori internazionali.

Per mantenere in piedi la baracca di uffici, macchine, stipendi, case, viaggi aerei degli espatriati và via oltre il 30% dei soldi che arrivano qui (già al netto di quelli trattenuti per i costi amministrativi in italia o negli altri paesi), più c’è tutto il personale locale, la corruzione, i costi sovrastimati. I cosidetti operational costs, in un industria privata raramente superano raramente il 22%. Gli affitti nella capitale sono saliti alle stelle, le jeep bianche delle organizzazioni internazionali sono il mezzo più diffuso, i bar dove gli espatriati s’inciuccano e trombano sono le altre, uniche, nuove fonti di business per gli haitiani. Questo è accaduto ovunque, in Kenia, Congo, etc. dove tante organizzazioni umanitarie hanno trovato fonti di reddito.

Tu avevi citato il libro-denuncia della Linda Polman, L’industria della solidarietà, anche qui tutto è come sempre. Non sorprende che sulla strada verso l’aeroporto sia comparsa la scritta “Down with NGO thieves”, che dovevo fotografare.

Ho letto della storia scandalosa dei 2 o 9 milioni scomparsi dal Consorzio Agire (che già aveva cercato di soffiare la pubblicità della costruzione di un ospedale alla seria Fondazione Rava) ma l’accaduto, a parte il truffone, non è differente da tante altre organizzazioni. Il terremoto d’Haiti è stata la grande, e forse ultima dato il disincanto dei donatori , occasione per l’industria dell’assistenza di fare il pieno di soldi pur non avendo le capacità e competenze per spenderli, per dipiù una raccolta, forse superiore, alle reali esigenze. Per molti è stato il modo per salvare i bilanci per almeno un decennio per altri d’investirli e cavare profitto per mantenere le strutture. Qualche giorno fa, qualche centinaio di persone, funzionari delle ONG e beneficiari coscritti sono sfilati nella capitale per chiedere maggiore trasparenza nella gestione dei fondi internazionali. La cosa curiosa che uno degli organizzatori era Action Aid, uno dei membri fondatori e dirigenti del Consorzio Agire. Che, posso dire, non è un simbolo né di efficienza né di trasparenza. Marco De Ponte, burocrate di Action Aid ha dichiarato: “La fiducia nei grandi donatori internazionali è stata tradita”. Lui è presidente e legale rappresentante del Consorzio Agire che ha dato 9 milioni di euro per la gente di Haiti a un promotore finanziario radiato dall’albo.”

Sono andato un po’ a verificare quanto racconta Francesco dal campo e mi sono imbattuto sul Web in tante considerazioni simili. Our concern is that we are using up the relief funds faster and longer than we anticipated,” dice Sam Worthington, presidente di InterAction, un ombrello di ONG americane. “The cost of running camps is enormous. It is a massive and costly enterprise.” The United Nations Development Program and the World Food Program also spent $60 million hiring Haitian camp dwellers to do odd jobs.  Doctors Without Borders dichiarano che” transportation alone cost $19 million”; World Vision, dichiara di aver speso $24 million in costi di gestione e ”program management”. That’s about 22 percent of the money the group spent here. If you come to Haiti now, it looks like the earthquake happened yesterday,’‘ ha dichiarato Karl Jean-Louis, di Haitiaidwatchdog.org/. e aggiunge “To me, the money went to expatriate operational costs. If you can’t see it, it’s going somewhere.”

Le Monde scrive che ad Haiti sono passati oltre euro 5 miliardi (fra donazioni di stati e privati), molti, come abbiamo scritto non sono mai arrivati, il governo haitiano ha ricevuto 1 centesimo di ogni euro stanziato ed è, di fatto, escluso dalla ricostruzione. L’articolo ha come titolo “La ricostruzione avanza al passo di una tartaruga”, intanto la gente inizia a scappare. Una boat people con 112 persone è naufragata, proprio sotto Natale.



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COMMENTI (2)

Da maddalena grechi
Inviato il 17 gennaio a 10:08
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In merito all’articolo pubblicato, mi sento in dovere di fare alcune rettifiche visto che a fronte di un’affermazione veritiera – quella della grave emergenza in cui ancora versa Haiti a due anni dal terremoto – ve ne sono in questo articolo molte davvero imprecise, quando non diffamatorie.

Innanzitutto una precisazione sull’operato di AGIRE: tutte le organizzazioni del network hanno portato o stanno portando a compimento i propri progetti così come pianificato, insieme alle popolazioni locali. Le attività realizzate sono visibili su www.agireadhaiti.it e su www.agire.it, anche attraverso documentazione fotografica georeferenziata. Chi, dopo aver consultato la documentazione disponibile, desiderasse approfondire ulteriormente la questione, potrà comunque rivolgersi ad AGIRE, scrivendo a [email protected].

Sulla questione dei 2 milioni menzionata (non 9!), AGIRE ha seguito procedure di investimento assolutamente regolari ed è stata truffata, tant’è che la Magistratura, a seguito di denuncia, ha proceduto all’arresto dell’indagato che è ancora in carcere. Nonostante questo, le organizzazioni di AGIRE non hanno atteso di rientrare dei capitali sviati dal truffatore, ma hanno completato comunque i loro progetti. Nessuna donazione fatta dagli italiani ad AGIRE è andata perduta. Anche in questo caso tutti i dettagli sono stati resi pubblici nel mese di ottobre e sono ancora visibili qui.

Un’altra precisazione riguarda i fondi racccolti, assolutamente insufficienti (e non superiori) per rispondere a questa emergenza, visto che solo il 54% dei bisogni è stato coperto. E poi la marcia citata: organizzata dal movimento Je nan Je (occhio per occhio), composto da associazioni locali, e da ActionAid Haiti (che - a proposito di radicamento sul territorio - è un’associazione locale esistente da 20 anni) l’obiettivo della manifestazione era chiedere ai parlamentari e al governo una riforma delle leggi sui terreni, affinché sia consentita la costruzione di abitazioni per i 600.000 che ancora sono senza casa.

Ma le cose a cui replicare sarebbero d’altra parte troppe in questo articolo: il network di Agire viene definito “non un simbolo di efficienza né di trasparenza”. Ci piacerebbe sapere su quali dati l’autore basa le sue allusioni e le sue illazioni, perché di questo si tratta. Ad esempio sarebbe sufficiente documentarsi correttamente (dovere di chiunque pretenda di fare informazione) per sapere che AGIRE non ha mai cercato di soffiare la pubblicità a un’altra organizzazione. E’ stato invece un giornalista di Sette– ammettendolo successivamente – ad attribuire erroneamente un intervento sia ad AGIRE sia alla fondazione Rava. E quale sarebbe la responsabilità di AGIRE in questo errore?

Insomma, l’unica cosa che si evince con chiarezza è che in questo articolo ciò che dicono alcune ONG viene usato per contestare l’operato di altre ONG, senza però spiegare perché alcune siano dalla parte giusta, altre da quella sbagliata.

Un unico invito all’autore: quello di approfondire, soppesare e verificare le proprie informazioni prima di diffondere notizie così superficiali, che rischiano di gettare fango su migliaia di operatori che ad Haiti lavorano ogni giorno per alleviare le sofferenze di quanti ancora vivono il dramma di questa emergenza.

Maddalena Grechi, Responsabile Comunicazione di AGIRE

Da marcod
Inviato il 16 gennaio a 13:20
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peccato che la "seria" fondazione rava apra ospedali che poi chiude perchè non sa gestire e sopratutto chiede ai poveri abitanti di pagare i servizi che fornisce (e che dovrebbero essere coperti dalla genorosità dei donatori). Sarebbe il caso che quando si fanno questo tipo d'inchiesta ci si informu bene.