Vi scrivo dal magazzino abbandonato in cui ci siamo rifugiati da due giorni. È un deposito di componenti elettronici situato lungo la SS340, a un paio di chilometri da Cernobbio. Luigi è ancora affranto per aver abbandonato il Concordia. Gli è bastato trascorrere qualche giorno a bordo del piroscafo per ritornare ad amare il suo vecchio lavoro. Manuel invece persiste nel suo atteggiamento taciturno. Come dargli torto? Io sono roso dai dubbi sulla bontà del nostro piano, ma non è lo sola cosa a preoccuparmi, purtroppo. Stare sul battello per tre giorni mi ha trasmesso un senso di sicurezza che avevo smarrito da mesi. Dormire senza temere un assalto dei Gialli, circondato solo dall'acqua del lago... sensazioni che non dimenticherò facilmente.
Ma ovviamente non era una soluzione adottabile a lungo termine. Anzi, i troppi agi ci avrebbero fatto abbassare la guardia. Così abbiamo fissato una deadline per lo sbarco, impegnando i tre giorni trascorsi a bordo per controllare le coste, aiutandoci col mio binocolo e col telescopio di Manuel. Anche da questa parte del lago tutto sembra morto. Sui vostri blog leggo di bande di razziatori, di predoni, cannibali e banditi. Io stesso ho potuto vedere cosa hanno fatto all'Isola Comacina. Eppure adesso è come se non ci fosse più nessuno. Le case sono deserte, i camini spenti, le strade silenziose. E dire che sarebbe la stagione ideale per uscire dai rifugi a cercare provviste. Sembra quasi che non ci sia più nessuno. Non qui. Nessuno di sano, comunque, perché di Gialli ne abbiamo visti diversi.
Non sono in molti. Il freddo e la pioggia gelata li fa stare per lunghe ore al coperto, nei loro nascondigli. Eppure qualcuno passeggia per le strade dei paesini abbandonati, tra le carcasse delle auto e le barricate travolte da tempo. Non ne abbiamo individuati grandi gruppi, al massimo assemblamenti di cinque, sei individui. Più spesso girano in coppia, o da soli. Sono prevalentemente magri e intontiti dalle temperature rigide. Tempo fa, su un blog argentino, altro paese che ha salvato un apparente ordine sociale, ho letto l'articolo di un biologo che preventiva la futura estinzione dei Gialli per inedia. Sì, ma quanto avverrà? Questi mostri stanno già dimostrando di essere molto più resistenti del previsto. Il sangue umano li sostiene ma, in mancanza di esso, hanno imparato a nutrirsi di altro pur di mantenersi abili alla caccia.
Fuggire da Tremezzo non è stato complicato come prevedevo. Di certo la gelata notturna che ha preceduto di qualche ora la nostra partenza ci ha aiutato non poco. I Gialli si sono accorti in ritardo che eravamo usciti dal Torrione e hanno pateticamente cercato di raggiungerci all'imbarcadero. Si muovevano rigidi, scivolando sulla neve ghiacciata, sibilando e muggendo per la rabbia. Mentre io e Manuel piazzavamo le assi per far salire la Wrangler sul Concordia, Luigi ci ha coperti, ammazzandone quattro col fucile, ma credo che non sarebbero riusciti lo stesso ad avvicinarsi troppo.
La tristezza per aver abbandonato un rifugio sicuro è stata presto sostituita dall'esperienza unica di viaggiare su un piroscafo a vapore. Nonostante l'età di Matusalemme e la gamba zoppa, Luigi è ancora un ottimo comandante di vascello. È riuscito a governare da solo il Concordia, e noi gli abbiamo dato una mano solo per tener d'occhio le strumentazioni, ovviamente sotto sue precise istruzioni.
Abbiamo gettato l'ancora a largo di Cernobbio, controllando l'andazzo in paese. Il borgo, un tempo rinomato ritrovo di turisti e di convegni d'alta finanza, sembra tranquillo. Come ho già scritto, ogni tanto si vedevano alcuni Gialli barcollare per le strade e nella zona del porto, tuttavia sembravano parecchio rincoglioniti dal freddo. Non davano nemmeno l'impressione di essersi accorti di noi, che eravamo ancorati a soli cento metri dall'attracco principale. Anche Villa d'Este, che un tempo era il punto di ritrovo del cosiddetto “turismo congressuale”, è buia e morta. Le tante finestre sembrano occhi neri che ci scrutano dall'Aldilà. Anche se là dentro potrebbe esserci molto da arraffare, tra cibo, equipaggiamento e magari anche armi, nessuno di noi ha manifestato la minima intenzione di tentare una sortita.
Oltre a sorvegliare i movimenti in paese abbiamo anche percorso la costa fino ad arrivare in vista dell'idroscalo di Como. I città la situazione sembra peggiore. I Gialli sono più numerosi e le strade testimoniano i numerosi scontri che devono essere avvenuti in fase di evacuazione, mesi fa. Col telescopio di Manuel si possono vedere numerosi cadaveri in decomposizione, coperti solo in parte dalla neve. Un incendio ha spazzato via la zona del Palace Hotel e il Lungo Lario Trento. A giudicare da quel che si vede anche la stazione delle Ferrovie Nord deve essere bruciata in un rogo che solo per miracolo non si è esteso in altri quartieri. Più in là, dove la SS583 esce da Como, verso nord-est, non sembra esserci nulla per cui valesse la pena tentare uno sbarco, ne non rovine e desolazione. Perciò siamo tornati verso Cernobbio.
Nei giorni scorsi ho letto i vostri blog. Il generatore del Concordia e l'antenna satellitare collegata via wi-fi al mio portatile mi hanno permesso numerosi connessioni, anche se di breve durata. La nafta non manca, ma Luigi ci ha chiesto di limitare comunque gli sprechi, perché non sapevamo quanto a lungo ci sarebbe toccato rimanere a bordo.
Mantenere i contatti con voi è strano. Se devo essere sincero è più alienante che rassicurante. A quanto pare i sopravvissuti alla Pandemia non sono così pochi quanto temevo, eppure siamo tutti isolati, mal messi, senza un coordinamento utile per tentare di ricostruire qualcosa. Col senno di poi tentare un contatto coi commando inglesi del Progetto Rondine non mi sembra poi una cattiva idea. Manuel ha addirittura studiato come approcciarci ai SAS. Ovviamente dovremo fingerci persone degne di riscuotere l'attenzione dei soldati di Sua Maestà, quindi ciascuno di noi sta studiando un ruolo da interpretare. Luigi impersonerà un presunto ingegnere navale, visto che è un marinaio di lungo corso. Manuel si fingerà un programmatore di computer. Io invece mi spaccerò per un giornalista. Mi rendo conto che può sembrare un ruolo completamente inutile in questo nuovo mondo pandemico, ma ho un asso nella manica da giocare: informazioni riservate e di massima importanza. Vere o false? Metà e metà. La mia nuova amica virtuale, Cristina Riccione, mi sta dando una grossa mano in questo. Oramai saprete che lei si nasconde a Milano. Abbiamo intenzione di incontrarci con lei e coi suoi amici? Può darsi di sì.
La sento via mail quasi ogni giorno, anche se a volte si tratta solo di rapidi scambi di battute. Oltre a essere un toccasana per il mio umore, si sta rivelando la nostra più grande possibilità di portare a termine il piano di fuga nel Regno Unito. Vorrei potervi dire di più. Abbiate pazienza. Appena sarà possibile, scoprirete l'arcano. Se vivrò abbastanza per raccontarvelo, è chiaro.
Due giorni fa ci siamo infine decisi a sbarcare. Sempre all'alba, ovviamente, col termometro di bordo che indicava -1°. Dopo lunghe discussioni abbiamo optato semplicemente per attraccare il Concordia a uno dei moli liberi. La manovra è stata complicata, ma ce l'abbiamo fatta, soprattutto grazie al “pilotaggio” esperto di Luigi. Mentre scaricavo la Wrangler i primi Gialli si sono accorti di noi. Due, poi tre, sbucati dalla vetrina sfondata di un ristorante-pizzeria che si affaccia sul porto. Una di loro era addirittura una ragazzina di dodici, tredici anni, imbacuccata con una giacca a vento nera all'ultima moda, ma chiazzata di sangue secco e sporcizia. Forse saremmo riusciti ad allontanarci senza che facessero in tempo a raggiungerci, tuttavia Manuel ha sorpreso sia me che Luigi, crivellandoli con una lunga raffica del MAB. Si è rivelata una scelta stupida, perché quegli spari sono risuonati per almeno un paio di chilometri. Col senno di poi ho capito che il mio amico ha perso il controllo proprio per colpa della bambina: voleva ucciderla prima che si avvicinasse tanto da poterla guardare negli occhi. Inutile dire che lo capisco, anche se in quel momento lo avrei riempito di calci nel culo.
Siamo saltati in macchina mentre da punti diversi del paese spuntavano facce gialle, dai capelli sudici, coi volti smagriti e gli sguardi assatanati. Cernobbio è più grande di Tremezzo, quindi il numero di contagiati ancora in vita è di conseguenza assai maggiore. Nel giro di un minuto e per una semplice debolezza buona parte del nostro piano di sbarco era andato a puttane.
Senza sapere esattamente che direzione prendere, sono schizzato lungo la via che avevo davanti a me, quella più larga, in parte sgombra dalle auto abbandonate e dai cassonetti rovesciati. La cazzata è stata proprio quella: l'accellerata ha fatto slittare la Wrangler. Ho perso il controllo alla prima curva e sono andato a finire in testa-coda dentro la hall di un hotel che fa da angolo a un incrocio. Il fuoristrada ha sfondato la vetrata e si è fermato solo quando è andato a schiantarsi contro il bancone della reception.
Ho battuto la testa contro il volante. Manuel mi ha svegliato scuotendomi. Ho aperto gli occhi, sentendo un forte dolore alla fronte, quindi ho realizzato che i guai stavano moltiplicandosi. Due Gialli erano a loro volta entrati nella hall e altri due si stavano lanciato contro la Wrangler, attraversando il corridoio di servizio alla nostra destra. Questi ultimi erano piuttosto arzilli, visto che la loro tana era all'interno dell'hotel, relativamente al caldo. Uno indossava una divisa un tempo bianca, da cuoco, e l'altra era una donna asiatica di mezzà età, nuda tranne che per un mezzo lenzuolo sbrindellato legato al collo. Nemmeno il tempo di spaventarmi e il cuoco si è lanciato come una bomba sul finestrino del lato passeggeri, incrinandolo. Manuel continuava a urlarmi di rimettere in moto e io ho tentato di farlo a dispetto del sangue che mi colava negli occhi. Ho sentito un paio di detonazioni. Solo in seguito ho realizzato che si trattava di Luigi, che aveva abbassato il vetro dalla sua parte per sparare alla cinese prima che arrivasse a sua volta a contatto.
Alla fine la Wrangler è ripartita, schizzando in avanti e travolgendo il Giallo di mezza età che ci stava venendo incontro frontalmente. Mentre sentivo le sue ossa spezzarsi sotto le ruote sono riuscito solo a pensare che assomigliava al mio vecchio agente immobiliare, una figura remota nel tempo e nello spazio. Il cuoco era aggrappato al retrovisore destro, caparbio come una tigna. Ho guidato la Jeep fuori dalla hall, e lì abbiamo trovata un'altra brutta sorpresa: una ventina di Gialli stava convergendo verso la nostra posizione. Non erano ancora a contatto, e il freddo li costringeva a muoversi come gli zombie di Romero, ma presto avrebbero formato un muro di carne che non ero sicuro di poter sfondare.
A quel punto Manuel si è ripreso dallo shock. Dapprima ha sfasciato il finestrino già sul punto di cedere e ha assestato una botta in testa al cuoco col calcio del mitra, riuscendo a staccarlo dall'auto. Poi si è messo a sparare sull'ala di Gialli più vicina, abbattendone un paio e ferendone un terzo. A quel punto ho sterzato da quella parte, dove c'erano più speranze di passare. Non volendo ripetere l'errore che ci aveva quasi rovinati, ho evitato di accelerare a tavoletta. Questo ha dato l'occasione ai Gialli di scagliarsi sulla Wrangler, cercando di tirarci fuori e sbranarci. Con la coda dell'occhio ho visto mani e braccia infilarsi dal lato passeggeri, fin quando Manuel ha svuotato gli ultimi proiettili del caricatore sui contagiati per liberare il veicolo, che rischiava di slittare nuovamente. Una volta liberi, ci siamo allontanati a velocità crescente. Nel retrovisore vedevo i Gialli superstiti che arracavano cercando di starci dietro, senza riuscirci perché il freddo bloccava le loro gambe. Una scena agghiacciante.
Sapevamo di aver gestito lo sbarco in modo indecente. Scossi, stanchi e doloranti per “l'incidente”, ce ne siamo stati zitti finché ci siamo allontanati dal paese. Una volta fuori dalla cerchia urbana il nostro brillante piano contemplava la localizzazione di un rifugio temporaneo dove tirare il fiato. “Muoversi a piccoli passi” era una sorta di comandamento che avevamo deciso di seguire scrupolosamente.
Abbiamo scartato l'idea di tentare la fortuna in qualche abitazione privata. Anche le più isolate potevano nascondere dei contagiati, oppure dei sopravvissuti pronti a tutto pur di depredare qualche viandante solitario. Alla fine Luigi ha consigliato di dirigerci verso la barriera della A9, e così ho fatto. Man mano che le strade secondarie lasciavano spazio a quelle più larghe il senso di desolazione postatomica cresceva. Le auto abbandonate testimoniavano un tentativo di fuga mal riuscito. Uno dei tanti. Molti veicoli erano distrutti e rovesciati oltre il guardrail. Manuel ha commentato con voce stanca che i bulldozer dell'Esercito dovevano essersi aperti la strada a forza, quando avevano tentato una fuga verso la Valle di Muggio, in Svizzera. Ricordo che lì c'era un presidio finanziato da una multinazionale delle armi, disposto ad accogliere chiunque fosse disposto a pagare. Credo però che abbiano fatto una brutta fine pure da quelle parti. Ovviamente potevano invece essere stati dei miliziani della fattispecie di quelli avevano incendiato la Comacina, o forse gli sgherri dell'Armata, o chissà chi altri. Non che oramai un'uniforme fosse più rassicurante rispetto a un'altra.
Se non altro la barriera (e buona parte del tratto autostradale) che vedevamo era sgombra da Gialli. Solo qualche cadavere rovesciato sull'asfalto ci ha rammentato che, in passato, i combattimenti erano arrivati fin lì. Alla fine abbiamo notato un posto che poteva fare per noi: questo magazzino. È isolato, situato tra una serie di capannoni deserti, circondati dalla campagna tagliata in due dall'autostrada. Ci siamo avvicinati con circospezione, trovando un punto sfondato del guardrail da cui passare, senza fare chissà quale assurdo giro. I capannoni che compongono questo piccolo polo industriale sono tre: una fabbrica di silos e caldaie, un complesso che si occupava di foraggicoltura e il deposito di componenti elettronici in cui ci siamo infilati. Un tempo qui vendevano cancelli automatici, sistemi d'allarme, videocitofoni, cose del genere. Qualcuno ha già razziato il complesso, così ci sentiamo abbastanza al sicuro. Abbiamo deciso di fermarci per 72 ore, finché Cristina non mi contatterà di nuovo.
Sì perché, ora ve lo posso confermare, a Milano ci incontreremo con lei. Sarà la nostra, anzi, la mia Beatrice. Prima del rendez vous coi commando britannici conosceremo il suo piccolissimo gruppo di sopravvissuti. Hanno molte cose da raccontarci. Informazioni che cercherò di condividere con voi.
Nel deposito abbiamo trovato un piccolo generatore portatile, col serbatoio pieno per metà. Lo utilizziamo poco alla volta, per scaldare l'ambiente con la stufetta elettrica che era nascosta nel furgone della manutenzione. Oggi ho anche ricaricato la batteria del portatile, approfittandone per aggiornare il blog. Il deposito ha un paio di uffici, un bagno, il magazzino e un laboratorio di elettronica ampiamente saccheggiato. Visto che la Wrangler è uscita malandata dall'incidente e ha un finestrino sfondato, la sostituiremo col Transit che apparteneva ai proprietari della ditta. Io e Manuel ci siamo già occupati di rivitalizzare la batteria e di trasferire la benzina dal fuoristrada al furgone.
Già, Manuel.
Da quando siamo arrivati qui il mio amico filippino è silenzioso. Trascorre molto tempo da solo, nel magazzino, oppure all'esterno, a sorvegliare la cancellata, perso nella contemplazione dell'autostrada deserta. Fino a un paio d'ore fa credevo che fosse ancora dispiaciuto per aver aperto il fuoco sui tre Gialli al porto di Cernobbio, scatenando così tutto quel casino in cui abbiamo rischiato di lasciarci la pelle. Anche se, a voler ben guardare, la colpa era anche mia, per aver perso il controllo dell'auto.
Poi ho scoperto che mi sbagliavo alla grande. Stavo controllando il retro dell'edificio, mentre Luigi riposava sul divano di uno dei due uffici, quando ho notato che Manuel si era nascosto dietro il furgone. Visto che non c'è alcun bisogno di pisciare all'aperto mi sono incuriosito per quel suo atteggiamento misterioso. Avvicinandomi a lui con l'intento di scambiare quattro chiacchiere ho notato un particolare agghiacciante, mentre ancora mi dava le spalle. Si stava controllando l'avambraccio sinistro, con la manica arrotolata fino al gomito. Non ne sono certissimo, ma credo di aver visto il segno di un morso sulla pelle olivastra. Forse qualche Giallo lo aveva morso durante la fuga da Cernobbio, quando quei bastardi avevano attaccato la Wrangler dal suo lato, dove il finestrino era andato a pezzi.
Manuel si è quindi accorto di me, ha coperto il braccio facendo finta di niente, quindi mi ha rivolto un tirato sorriso di circostanza. « Problemi con Luigi? », ha domandato.
Non sono riuscito a chiedergli spiegazioni. Temevo una reazione scomposta, sebbene non lo reputi in grado di farmi del male. Probabilmente attendeva di capire se mi ero accorto del morso o meno. Alla fine ho deciso di far finta di niente. « Luigi dorme », gli ho risposto, minimizzando. Avrei potuto almeno chiedergli se stava bene e osservare la sua reazione. Tuttavia non sono riuscito a farlo. Ci siamo osservati per un paio di secondi. Senz'altro sarebbe stato più utile affrontare subito la cosa, ma nessuno ha trovato il coraggio di fare il primo passo. Così sono tornato dentro, con un senso di nausea così intenso che ho vomitato il pranzo nella tazza del cesso.
Così il mio più valido compagno di viaggio potrebbe essere infetto. Non ne sono nemmeno sicuro, non oso chiederglielo né parlarne a Luigi. L'unica cosa che mi consola è che il periodo di incubazione del prione è piuttosto lungo. Dovremmo arrivare a Milano senza che Manuel mostri particolari sintomi. Spero che anche la sua psiche non crolli all'improvviso. Di certo questa notte dormirò con la Glock sotto il cuscino.
Domani partiremo. Non voglio pensare ad altro che all'incontro con Cristina, e a tutto ciò che a esso seguirà. So che prima o poi dovrò affrontare questo “problema”. Se qualcuno ha un buon consiglio me lo dia, perché io credo di essere prossimo a impazzire.
E poi? Ah, già, dimenticavo: Buon 2016.
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