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Dracula: Mito e fenomenologia. Di Giovanni Sicuranza

Creato il 25 agosto 2011 da Stefanodonno
Dracula: Mito e fenomenologia. Di Giovanni Sicuranza

1892. Anno di svolta per la letteratura. Anno di svolta per la resurrezione del mito metamorfico e per l'angoscia dell'uomo moderno. Esce "Dracula", dell'irlandese Bram Stoker, ed è subito un urlo di successo che si diffonde in tutto l'Occidente. Migliaia di copie vendute, edizioni su edizioni, adattamenti teatrali, musicali; quindi cinematografici. "Dracula" rappresenta la singolarità del mito moderno, come spiegherò di seguito in un percorso volutamente sintetico, ma spero efficace, da allora solo timidamente eguagliata, ma mai superata in modo innovativo. Prima di fare qualche passo indietro nei secoli, per meglio comprendere quanto affermato, vorrei subito porre questo paletto (e scusate il doppio senso del termine, visto che di vampiri sto trattando): "Dracula" si configura come l'apoteosi di una figura che, dalla trasformazione medievale, dalle prime rappresentazioni moderne ad oggi, non è stata ancora superata per completezza e carica simbolica. A mio avviso, e forse dimenticando briciole sulla strada della citazione, la letteratura che più si è avvicinata alla vetta del romanzo di Stoker è ad oggi rappresentata da:

1) "Io sono leggenda", di Richard Matheson (1954), inquietante ribaltamento della singolarità del mito: il mostro, la minaccia fin troppo evidente, è un essere umano in un mondo popolato pressoché interamente da vampiri (qui il mostro non nasce più da una generica maledizione o tara, ma da una mutazione virale).

2) "Le notti di Salem", o "Salem's Lot", di Stephen King (1975), che, oltre lo stile particolare dello scrittore, ha il pregio di riprendere quelle caratteristiche tipiche di Dracula, ovvero il vampiro affabile, ben integrato nel tessuto sociale, che approfondirò in seguito.

In ogni caso, si tratta di testi che non potevano nascere senza la paternità ideativa di "Dracula", a questo dovendo (anche per stessa ammissione degli Autori) molto del loro "respiro".

Per quanto riguarda i film, sempre nella scia di "Dracula", meritano di essere citati:

1) "Nosferatu, eine Symphonie des Grauens", diretto nel 1922 da Friederich Wilhelm Murnau; uno dei massimi caposaldi del cinema espressionista; 2) "Vampyr", ispirato a "Carmilla" (primo vampiro femminile della modernità), diretto nel 1932 da Carl Theodor Dreyer; 3) "Miriam si sveglia a mezzanotte", diretto nel 1983 da Tony Scott, in cui è forte una caratteristica della modernità: l'amore malinconico; 4) "Nosferatu a Venezia", diretto nel 1988 da Luigi Cozzi e altri, con Klaus Kinski; 5) "Bram's Stoker Dracula", diretto nel 1992 da Francis Ford Coppola; ad oggi la più fedele rappresentazione del romanzo di Stoker con introduzione del personaggio storico che ha ispirato Dracula; 6) "Intervista con il vampiro", diretto da Neil Jordan nel 1994; 7) "30 giorni al buio", diretto nel 2007 da David Slade; questo film, un horror puro, ha in realtà quale unico pregio l'efficacia dell'accentuazione del simbolismo della cosmicità nera, che caratterizza i nostri tempi. Altri film, o serie alla "Twilight", per intenderci, nulla aggiungono, anzi, sottraggono mitologia al vampiro per ridurlo a un giovane di bell'aspetto, con fisico atletico, che usa quale seduzione il flirt e ha l'espressione monotona del "bello e dannato" alla James Dean; insomma, niente più che un perfetto profilo per social network alla "Facebook". Tuttavia un elenco (incompleto, schematico) di libri e film ispirati al romanzo di Stoker non è lo scopo principale delle mie considerazioni. E' tempo dunque di andare indietro nei secoli e scoprire quel parallelismo tra culto dei morti e formazione, anzi, trasformazione, persino sostituzione, del mito del diavolo con quello del vampiro a partire dall'Illuminismo. E, poiché caratteristica del mito è l'eternità, fino a quando costumi, conoscenze e impianti sociali non muteranno, il vampiro è destinato ad essere sempre attuale e motivo di forte interesse, con buona pace per chi afferma di non poterne più di questo argomento (o, con maggiore precisazione, dell'ossessivo mercato che si crea intorno a tale figura; un mercato spesso di flaccida qualità, ma che trova la sua forza proprio nell'inossidabilità del mito).

Il culto dei morti e il potere della Chiesa

Nei secoli III e V d.C., la Chiesa cattolica è ben consolidata nelle città, ma non nei paesi, che, gravidi di tenaci tradizioni, resistono con riti pagani al cristianesimo; la stessa Chiesa, del resto, fino a questo periodo è più interessata a consolidarsi nelle città, centri di potere. Tuttavia il culto dei defunti fa capire ai Ministri della Cristianità che, se vogliono avere il gregge al completo, è ora di agire. Per la Chiesa cattolica il ritorno dei morti, in un corpo incorruttibile, è prerogativa solo dei Santi. Per il volgo, invece, i morti possono tornare, sia con intenti benevoli, che malefici, ogni qual volta lo desiderano, o siano desiderati dai superstiti. La loro apparizione avviene spesso in danze collettive, svolte intorno alle mura della città e guidate dai guerrieri di Odino, i Berseker. Tra questi capeggia un certo Hellequin, che nei secoli, con il culto del Carnevale (nato nelle città medievali), diventerà Arlecchino. La Chiesa non può tollerare ancora che nei villaggi si professi un culto dei morti così distante dalle basi del cristianesimo. Ma, per non privare in modo drammatico, inefficace, la popolazione dalle proprie tradizioni, inventa la soluzione del Purgatorio. Da qui le anime in transizione, in circostanze particolari, hanno il potere di comunicare ancora con i vivi. Accanto a queste, solo i Santi possono farlo. O i demoni tentatori. La Chiesa riesce così a circoscrivere nella propria metafisica il bisogno primordiale dell'uomo di comunicare, per bisogno o per paura, con i defunti. Lo fa con l'arma migliore che le ha sempre dato consenso: non spazzando via le tradizioni pagane, ma trasformandole in culti consoni, in modo che il popolo le accetti, vestendo il vecchio con il nuovo. Ora, dunque, il ritorno dei morti è affidato all'intercessione del Purgatorio. O, in presenza di negatività, al nefasto e ingannevole intervento del Diavolo. Se un morto entra non voluto nel tessuto dei propri cari è perché il Diavolo lo permette. Lo permette anche in senso collettivo, ad esempio con le malattie che colpiscono il bestiame, o con quelle che falciano intere comunità. Ricordiamo che nel mondo pre-moderno la malattia non è espressione del contagio di un microrganismo, ma di una possessione diabolica, che tenta di disgregare la comunità cristiana. E' dunque, prima che un pericolo per l'uomo, una minaccia per il tessuto sociale. Il nuovo potere consolidato dalla Chiesa con l'invenzione del Purgatorio e l'intervento del Diavolo, nel tramite vita - morte, salute - malattia - morte, è però messo in discussione dalla Chiesa Greca Ortodossa, che, contrariamente a quanto affermato da Roma, ovvero che solo i Santi sono incorruttibili, mentre la putrefazione del corpo è elemento necessario affinché l'anima possa serenamente distaccarsi a ascendere al Regno dei Cieli, sostiene che anche morti "comuni" possono non corrompersi. In questo caso, il mancato ciclo putrefattivo porta l'anima e il corpo a un legame indissolubile oltre la morte, impedisce l'ascesa al Regno dei Cieli e apre le porte al ritorno dei non-morti. L'altro scossone alle credenze instillate dalla Chiesa romana lo fornisce il Protestantesimo, antesignano per alcuni aspetti dell'Illuminismo. La Chiesa apostolica e romana ha inventato il Purgatorio per trarre vantaggi economici e di potere. Il Purgatorio non esiste, tuona il Protestantesimo, liberando così le anime dal recinto in cui le aveva collocate la Chiesa per regolamentarne la comparsa ai vivi. La dissoluzione del Purgatorio, unita al messaggio della Chiesa greca, aprono dunque le porte per un nuovo caos, senza ulteriori regolamentazioni, lasciando ancora alle credenze del popolo il rapporto tra i vivi e i morti. Morti che, a questo punto, possono tornare con intenti anche malvagi, in quanto non corrotti, e non solo come illusione del Diavolo. Non è un caso se il mito del vampiro si sviluppa, in epoca pre-illuministica, proprio nei Paesi dell'Est, nei Balcani e in Grecia in particolare, mentre è assente in quelli di influenza cattolica romana. Si tratta ancora di un mito rozzo, primordiale: il vampiro è di bassa estrazione sociale, un contadino, che fa razzia del bestiame o dei propri cari. Viene scoperto, quando, in periodo di morti misteriose, o, ancora più spesso, di malattie, si aprono le tombe, fino a trovare quella di un cadavere fresco, incorrotto, rosso in volto: il vampiro. Il corpo, esumato, subisce il taglio della testa e l'estrazione del cuore e, infine, spesso, viene bruciato. Come forma pestilenziale, la credenza nel vampiro si propaga.

Arriva l'Illuminismo.

E il vampiro perde vigore, verrebbe da continuare. Invece, apparentemente in modo paradossale, è proprio l'Illuminismo che, non volendo, ne fortifica la figura e rende moderno il mito. Come scrive Voltaire, tutto è ricondotto alla Ragione, tutto è spiegabile dall'Uomo. Il resto è "superstizione". Eppure, e questa è la mancanza dell'Illuminismo, non si può privare l'uomo del suo ancestrale bisogno di "metafisica", proprio per la consapevolezza che questi ha della morte. Non si può razionalizzarlo in ogni aspetto, senza dargli la possibilità di una struttura che vada "oltre". I miti, ridotti a superstizione, svuotati senza essere adeguatamente rimpiazzati, producono nell'uomo nuovo smarrimento. E lo smarrimento, lasciato libero, crea miti di punizione.

L'Epoca moderna e l'evoluzione del Vampiro.

L'Io, smarrito, elabora un nuovo mito, individualmente e nella collettività. Sviluppa una nuova metafisica in un mondo in cui non vi è una regola, lasciando i morti, i non-morti, liberi di vagare nella Terra. La malinconia del vuoto, rimasta insoluta dall'Illuminismo, in assenza di forti valori che non siano quelli terreni (industrializzazione, capitalismo, arricchimento del Quarto Stato, profitto), porta a un rincorrere ossessivo della felicità. Felicità che non si trova in questo mondo, ma che ormai ha perso i dettami, forti, della religione. E' il senso di una cosmicità nera, che dall'Illuminismo sale fino all'epoca moderna nel cosiddetto horror vacui. Ossessione, smarrimento, infelicità, danno allora slancio alla figura del Persecutore, del Punitore antropomorfico, che non è più il Diavolo, decaduto, ma il Vampiro. E' proprio dall'inizio del XVIII secolo che in Europa, a partire dall'Est, si diffondo le voci di epidemie di vampirismo. Intanto il Vampiro, che assurge a mito dell'angoscia della Modernità, si è trasformato. Prima, come accennato, era il contadino, trovato florido e rosso in viso all'esumazione: il vampiro rosso. Ora, accanto a lui, nasce la più nobile figura del Vampiro Nero. E' il Vampiro primigenio, la fonte del contagio del vampiro rosso, la prima causa dell'epidemia di non-morti. Se la sua completa collocazione mitica avviene in epoca illuminista, la sua figura ha origini più antiche, essendo identificato con le frequenti epidemie di peste nera, veicolata dai topi. L'associazione, per similitudine, con i pipistrelli avviene naturalmente, anche in virtù di due elementi: la peste nera si propaga rapidamente e i pipistrelli sono tanto veloci, quanto padroni dell'aria, elemento etereo. Inoltre, topi e pipistrelli accompagnano le ripetute invasioni dei neri turchi, o tartari ("tartaro", in epoca medievale, era sinonimo di "inferno"), visti dalle atterrite popolazioni europee non come umani, ma esseri di un mondo maledetto. Sono loro la concretizzazione del Vampiro Nero. Infine il Vampiro subisce un'evoluzione di tipo sociale, anche questa determinata, sempre in modo non consapevole, dall'Illuminismo. Infatti, se il Vampirismo è solo superstizione del volgo, altrettanto vero è che esistono veri vampiri in grado di erodere la società. Nascono così espressioni, ancora in parte usate, quando si identifica il vampiro nello sfruttatore del popolo, del lavoratore (vampirismo sociale), nei propagatori del magico (vampirismo superstizioso), nelle razze inferiori, o che producono danni, come quella ebraica (vampirismo razzista). Questo è il vampirismo razionalizzato dall'Illuminismo in poi, ma che, nel mito, poiché identifica nel vampiro personaggi di potere (preti, uomini politici o di affari, etc.), ha l'effetto collaterale di elevare il Vampiro stesso da contadino a uomo aristocratico o borghese. Il Vampiro, dunque, grazie ancora all'Illuminismo e alla Modernità, non solo si fortica, ma sale di rango.

Peculiarità del Vampiro.

A dargli la veste di dandy, malinconico, affascinante, contribuiscono, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, personaggi come il poeta Byron, a cui Polidori si ispira per "The vampire", primo racconto del mito moderno del vampiro (1819). Amato e odiato, cercato e respinto, persecutore e fonte di persecuzione per l'uomo malinconico. Rinvio al testo stesso, o a altri articoli, per la trama di quest'opera (così come delle altre che seguiranno), limitandomi a fare notare che, appena uscito, "The vampire" riscuote un immediato successo, pressoché in tutta Europa, tanto da spingere, in Inghilterra, tra il 1845 e il 1847, alla "democratizzazione" del mito diventato letteratura: nasce la serie "Varney the vampire, or, the Feast of Blood", che, venduto a puntate, al costo di un penny l'una, affascina per due anni, instancabilmente, chiunque sia in grado di leggere. E' la prima feulliton dell'orrore e sparge il mito in ogni estrazione sociale.

Nel 1872 arriva "Carmilla", di Joseph Sheridan Le Fanu, il primo vampiro femminile, dove sensualità e amore malinconico sono accentuati fino a sfidare le convenzioni sociali (razionali) dell'epoca, in pulsioni dal sapore saffico. Inoltre in "Carmilla" è ben colto il concetto dell'ospitalità, per cui il vampiro può agire solo tra le persone che lo accolgono all'interno della propria dimora, come un virus nel corpo umano. La singolarità del vampiro, la sua massima evoluzione, arriva poco dopo, nel maggio 1897, quando esce "Dracula" dello scrittore irlandese Bram Stoker. Con "Dracula" il mito diviene completo e si stabilizza.

Dracula. Cenni di tradizioni e di Storia

Dracula arriva dall'Est, terra di superstizione per eccellenza del vampirismo, e non giunge per "infettare" il singolo, ma l'intera collettività occidentale, la modernità razionale, nel romanzo rappresentata da Londra. Il vampiro non si introduce in modo manifesto, con violenza, ma con l'intento di assimilarsi al tessuto sociale londinese. E' infatti deciso a comprare una casa in città e dichiara di volersi amalgamare ai costumi dell'occidente. E' proprio il subdolo modo dell'agente infettivo di penetrare nell'organismo. E l'organismo occidentale è ormai privo di anticorpi per il "superstizioso", che l'Illuminismo ha tentato di uccidere, ridicolizzandolo. Il mito, le credenze apparentemente rimosse da un mondo illuminato, irrompono senza che l'uomo moderno sappia fronteggiarle. Eppure Lucy, la prima vera vittima occidentale del Conte, è un simbolo proprio di come il mito sia ancora presente, non riconosciuto. Nel romanzo si apprende che è affetta da sonnambulismo, morbo, si credeva nell'antica Grecia e nel Medioevo, suggestivo per possessione demoniaca. L'altra protagonista femminile, Mina, con la sua ambivalenza passionale-sentimentale tra il marito e Dracula, esprime il sentimento contrastante attrazione-repulsione per il vampiro e, più in generale, per la tradizione, nell'uomo moderno. Per Stoker solo il ritorno a valori metafisici può salvarci dal senso di smarrimento sociale, che l'Illuminismo ha creato e che la Modernità, con la sua rincorsa alla felicità immediata ed effimera, ha accentuato. I miti vanno riconosciuti, valorizzati, non relegati a mera superstizione, altrimenti l'essere umano sarà destinato a soccombere ai propri incubi. Non a caso Dracula è battuto non dalla Ragione, ma dall'unione di Razionalità e Metafisica religiosa, rappresentata dalla figura di Van Helsing, scienziato, sì, ma anche esorcista laico. E l'unico, che grazie alla fede, riconosce la presenza del vampiro a Londra. Strumenti religiosi, come il crocefisso, l'ostia consacrata, sono le armi tradizionali in grado di indebolire questa "nuova" minaccia di derivazione demoniaca.

Ma chi è Dracula, oltre il mito?

Anche in questo caso, Bram Sotker mostra di avere oculatamente operato la scelta di una trama carica di messaggi. Non solo metafisici, ma anche storici e tradizionalisti. Come lo stesso Dracula racconta a Harker, la sua stirpe deriva sia dai Berseker di Odino, sia da Attila. Si ricorderà che, nella tradizione dei villaggi pre-cristiani, i Berseker erano a capo delle schiere dei morti danzanti. Attila è noto come "flagello di Dio", terrore dell'Occidente. Condottiero degli Unni, razza assimilata ai Turchi-Tartari, ovvero ai Vampiri Neri. Nello specifico, Dracula è ispirato al personaggio storico di Vlad III, della stirpe degli Szekely, effettivamente di derivazione dagli Unni e, sembra, da discendenti diretti di Attila. Vlad III era figlio di Vlad II, regnante della Valacchia, Transilvania, detto "Dracul", ovvero "Drago" (dal blasone della casata) o "Demonio". Il figlio passò alla Storia con il soprannome di "Dracula", che in rumeno significa "figlio del Drago", o "figlio del Demonio". Lui stesso si firmava "Draculea". Vissuto tra il XV e l'inizio del XVI secolo, fu figura ambivalente per i suoi rapporti con i Turchi (i Vampiri Neri): da un lato, baluardo della cristianità nel fermare la loro avanza in Occidente, dall'altro dagli stessi Turchi allevato nei primi anni dell'adolescenza, quando il padre lo diede in ostaggio. Un elemento senza dubbio di interesse per lo studioso Stoker. Ma c'era un altro particolare che rendeva "Draculea" personaggio adatto per la creazione del mito. Vlad III era soprannominato "Tapes", cioè “l'impalatore”, per il "generoso" ricorso alla tortura dell'impalamento, applicata a nemici interni o esterni. Era un supplizio, che, ben condotto, lasciava la vittima agonizzante per ore, con un palo dalla punta arrotondata, per non ledere, ma spostare organi interni, che, introdotto nell'ano, fuoriusciva da una ferita, in genere in prossimità di una spalla. L'impalamento, applicato al mito del Vampiro, ha duplice significato simbolico: è antitesi dell'arma, il paletto, usata per sconfiggere la creatura del Male; in una prospettiva psicologica e sociale, si inserisce nella fase anale del bambino, come bambina, immatura, smarrita, è la civiltà attuale; una società che, disorientata nell'horror vacui, percependo di avere commesso una mancanza privandosi dei miti, crea la figura del Persecutore. Del padre che, con l'impalamento, punisce. Ancora qualche considerazione, prima di concludere questo schematico excursus sul Vampiro quale mito moderno. L'allontanamento dell'accettazione della Morte, iniziato anch'esso dall'Illuminismo, e proseguito progressivamente fino ad oggi nella civiltà Occidentale, portando al tabù del fenomeno morte, ha ulteriormente alimentato l'horror vacui sociale (vd. miei articoli, già pubblicati in questo e altri siti, a tale proposito). In un contesto in cui la Morte è allontanata, negata, nella civiltà del consumismo, dell'apparenza, il Vampiro Persecutore ha molti motivi per stabilizzare la sua forza di mito, relegandoci a servi non- morti, ma anche eternamente non-vivi.

La soluzione di Stoker e la domanda lasciata senza risposta.

Bram Stoker afferma che il modo per liberarci dal Persecutore è la riappropriazione del mito in chiave metafisica-religiosa. Solo lasciando la mente libera di vedere anche oltre la razionalità, l'uomo riesce a scorgere i mostri della Modernità. Solo affrontandoli con gli strumenti della metafisica, riesce a sconfiggerli. Se questa soluzione, magistralmente narrata in "Dracula", e ad oggi insuperata, è valida per i credenti, allora all'uomo ateo e agnostico non rimane che arrendersi alla spiritualità per non incorrere nel fascino schizofrenico di un nuovo "demone" creato dalla mente (individuale, collettiva) a punizione della sua "arida" ragione, che tutto pretende di spiegare? Abbiamo visto che il ricorrere alla Ragione, come spiegazione del tutto, annichilendo ciò che sfugge come "superstizione", non preserva dallo sviluppo dell'horror vacui e, dunque, dalla nascita di un mito persecutore. Eliminare il mito con la tecnologia ha senso nella finzione in cui il "mostro" è creato dalla modernitá (es. arma batteriologica per cui è necessario creare un antidoto). Non certo per il mito creato dal bisogno metafisico ancestrale, anzi, significa ricalcare l'errore dell'Illuminismo. Credo tuttavia che la risposta non sia la resa. Stoker ha risolto il dilemma per chi vuole credere. Per gli altri, forse, c'è bisogno di un altro antidoto all'horror vacui. Di un nuovo Bram Stoker.

Bibliografia essenziale.

Oltre ai testi citati nell'articolo:

1) "Il mito del Vampiro", Barzaghi; Edizioni Rubettino; 2010;

2) "Simboli della trasformazione", Jung; Edizioni varie;

3) "La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica"; Praz; Edizioni Sansoni; 1982;

4) "Il mondo attuale"; Braudel; Einaudi; 1966.

Il blog di Giovanni Sicuranza

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