È la Settimana dei Recuperi.
Che sembra una cosa affine al riciclaggio, se non fosse che, almeno per ciò che concerne Drag Me to Hell, è stato una bella scoperta.
Non bellissima, eh. Carina, che mi ha fatto ricordare tante passioni mai assopite del tutto. Atmosfere scontatissime, assolutamente non terrorizzanti, ma delle quali si sentiva la mancanza, controllo assoluto da parte degli spettatori compreso.
Sorpresa, ma non troppo, in effetti, scoprire che la sceneggiatura di questo film era a disposizione della premiata ditta Raimi & Raimi fin dai fasti de L’Armata delle Tenebre, ma che poi, anche a causa dell’Uomo Ragno, non se ne sia fatto più nulla. Scritto, dunque, con la stessa testa che produsse uno dei film che amo di più.
D’altronde, Raimi lo capisco pure. Avere nel cassetto un’opera incompiuta dà fastidio. E pochi hanno la fortuna di riuscire a trovare il tempo, l’occasione e la fiducia da parte di altra gente, da convincere che sì, è il momento giusto per farlo ‘sto film, anche se tutto il resto del mondo parla vampiresco.
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Giocare d’Azzardo
Tra l’altro, film tendente al comico-grottesco. Non parodistico come L’Armata, certo, e che tende al sobbalzo meccanico di chi guarda, piuttosto che a suscitare vera tensione, stemperata com’è, in una messinscena fatta da chi ha la padronanza tecnica, sufficiente a non risultare ridicolo, pur nella scelta di riproporre ombre, passaggi fiammeggianti che portano all’inferno, fazzoletti svolazzanti demoniaci, cadaveri semi-putrefatti che si muovono, o che vengono mossi, come gli scheletri, da mani mai inquadrate.
Queste sono cose, giochetti, coi quali è bene iniziare. Pensare di riproporli dopo anni è impresa rischiosa, ma divertente. E credo che Raimi sapesse di poter contare su schiere di fan che mai l’hanno abbandonato.
Si torna all’horror tendente allo splatteroso, al vomito, al disgustoso e al surreale con una protagonista caruccia, Alison Lohman, che non è Bruce Campbell al femminile, ma che ci sta studiando per diventarlo, pur non producendosi in faccette buffe.
Su di lei e sul suo personaggio, Christine Brown, fossi in Sam, io ci investirei. Ma dipende tutto dal momento. E il momento ci dice che a Sam gli hanno tolto pure Spider-Man…
Un momentaccio, quindi, in cui creare e proporre nuovi eroi. O forse quello più adatto.
Si tratta, come sempre, di giocare d’azzardo.
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Credere ai Mostri
Spunta la Oldsmobile Delta 88 del ’73, di proprietà di Sam Raimi, detta anche The Classic. La stessa che portava Ash, Scotty, Cheryl e le altre allo chalet. Color giallo itterico. Una merda. Però quando la vedi guidata dalla vecchia zingara Sylvia Ganush (Lorna Raver) non puoi fare a meno di sentirti a casa e di dedicare un pensiero buono a quel pazzo che da oltre vent’anni la ficca, quella macchina, sul grande schermo, concedendosi il lusso di pensare che sia tutto normale. Che i mostri agiscano attraverso schemi ripetitivi, rassicuranti. E affidandosi alla consolazione che, di fronte a tali creature, ci si potrebbe anche salvare, se solo si conoscesse di più un certo tipo di cinema.
Per dire, se uno guarda solo Antonioni, Kieslowski, Ozpetek, che ai mostri non ci credono, quegli stessi mostri ti portano via, ti aprono una buca fiammeggiante in strada mentre prendi l’autobus. Contrappasso. E sei fatto per tutta l’eternità. Pensateci prima di schiacciare PLAY.
Sylvia Ganush è fantastica. Da un lato si produce in dettagli disturbanti e insieme ovvi. La vecchia bavosa che gioca con la sua dentiera sporca. La giovane e carina funzionaria addetta ai Prestiti, Christine, che ne rimane disgustata. Le rate dei prestiti sono troppo pesanti e la banca rivuole la casa della vecchia che si inginocchia e supplica, supplica, supplica per poi, a suo dire, venire umiliata.
E cominciano i giochi, quando la Ganush sale nella sua auto. L’auto dei sogni dei b-movie.
La sequenza del parcheggio non fa paura, anzi fa ridere di gusto. L’apice quando la vecchiaccia va a sbattere sul cruscotto e le salta via la dentiera, ma tenta comunque di mordere Christine afferrandole il mento, di fatto inghiottendolo, ma senza produrre danni.
La differenza con altri film ridicoli è che Raimi insiste, anzi moltiplica questi siparietti tanto da farli diventare gradevoli, attesi e in qualche modo tradizionali, aumentando, di volta in volta, il dettaglio truce. Non truculento, ma truce, dal momento che si arriva a far vomitare un cadavere dritto nella bocca della nostra Christine. Che, dal suo canto, si rialza dopo poco come se nulla fosse successo e, soprattutto, intonsa. E quest’errore non lo stronco perché, come già detto, Christine vuole essere Ash.
Uno come Ash manca da troppo tempo. E anche se qui è donna, comincia a piacere lo stesso. Anzi è una metamorfosi mitologica, se non giusta o attesa, apprezzabile. Ti voglio bene, Christine…
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L’Eroe
I richiami a L’Armata si sprecano: le ombre che scorrono sulle pareti velocemente, a segnare l’incrementato scorrere del tempo, il fazzoletto di cui sopra che assomiglia molto al Necronomicon volante, nella sua copia fasulla, l’occhio che spunta dalla fetta di torta, come quello che faceva capolino dalla schiena di Ash rifugiatosi nel mulino a vento, i vocioni dei demoni, il loro sbattere contro la porta e i posseduti che levitano, appesi a fili ben nascosti dalla CGI.
Tutto familiare, tutto confortante. Anche se si parla di demoni e inferno e dannazione eterna.
Poco sangue, tutto sommato. Se si eccettua l’epistassi magnifica di Christine, che travolge il direttore della banca.
Christine ingoia le mosche, lotta con le ombre a forma di capro, fa a botte col cadavere della vecchia, di quei cadaveri che non sembrano proprio morti, si fa strappare i capelli due volte dallo stesso, che ha mani adunche, rigide, ma chissà perché ancora prensili, si getta nella mischia con capre parlanti possedute e con fazzoletti svolazzanti maledetti e, la sto amando alla follia, uccide i gattini indifesi. Amo i gattini, per la cronaca, e i cani, e gli animali in generale, e detesto chi li maltratta, ma qui la scena ci sta tutta.
Voglio dire, qua sta nascendo un nuovo PERSONAGGIO e non ce ne stiamo rendendo conto? Siamo stati lobotomizzati, non c’è altra spiegazione. Oppure ci ha colto alla sprovvista, nel sonno, perché non ce l’aspettavamo più, dopo tanta merda cinematografica.
Meno male che chi ci crede in queste cose, nei mostri, come ci credo io o voi, riesce sempre a svegliarsi per godersi lo spettacolo.
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