Duecentomila posti di lavoro per i giovani, tre miliardi di euro stanziati, due punti percentuali in meno di disoccupazione. Dall’approvazione del del sull’occupazione fino ai giorni scorsi, il governo Letta ha diffuso una significativa serie di numeri e dati trionfali sui piani del suo esecutivo. Eppure, nonostante tutte queste cifre, i conti non tornano.«Ora le imprese non hanno più alibi per non assumere», ha spiegato Enrico Letta presentando le sue misure. Tutto questo dopo una battaglia (di slogan) secondo cui l’unico modo di creare posti di lavoro per i giovani era la “staffetta generazionale” e i contratti di solidarietà per i più anziani: mandarne a casa una parte, convertirli part-time, diminuire loro lo stipendio in modo da fare entrare in azienda qualche ragazzo. Un clima di “terrore generazionale” poi sfumato nel nulla: staffetta e contratti di solidarietà espansivi sono troppo onerosi per lo Stato. E allora via al miliardo e mezzo per l’occupazione giovanile, e poi all’altro miliardo e mezzo dell’Unione Europea.
Partiamo dalle cifre. Il primo miliardo e mezzo di stanziamenti c’è, ma è ripartito nei prossimi cinque anni. Trecento milioni nel 2013, 100 milioni nel 2014, 150 milioni nel 2015 e così via. Di questi, 500 milioni sono destinati solo al mezzogiorno. Gli stanziamenti, poi, non sono tutti diretti all’occupazione, ma anche a tirocini e stage formativi. Ovvero a quegli strumenti con cui i giovani precari vanno avanti da anni in attesa di un lavoro, per poi passare da un contratto precario all’altro. Proprio sui contratti Letta è intervenuto eliminando i vincoli temporali per il rinnovo imposti dalla Riforma Fornero. Per il sindacalista Sergio Bellavita (Fiom e Rete 28 aprile) si tratta di «Uno scandalo, cancellano proprio quelle due cose contro il precariato inserite nella riforma Fornero».
Ma torniamo ai numeri. Si è detto 200mila posti di lavoro per i giovani: non è vero. Centomila potrebbero diventare i nuovi posti di lavoro – dati ben lontani dalla realtà per l’economista Tito Boeri – e i restanti 100mila sarebbero tirocini e percorsi formativi. Il ministro Giovannini ha parlato di riduzione del 2 per cento dei giovani disoccupati, ma la statistica di riferimento è quella dei giovani fino ai 24 anni, in cui la disoccupazione è conteggiata al 25 per cento, dato ben lontano da quel 41 per cento di disoccupazione giovanile reale, che prende l’arco di vita fino ai 29 anni. In un paese in cui, tra la maturità a 19 anni (nel resto d’Europa avviene un anno prima) e le lauree 3 + 2 l’età naturale per il conseguimento del titolo arriva proprio ai 24 anni. Insomma, non si interviene su chi cerca lavoro ma sui “Neet”, quelli che non cercano lavoro e non studiano.
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di Michele Azzu | @micheleazzu