A distanza di di tre anni dallo stupendo El cielo, i californiani Dredg, ritornano sulle scene con questo Catch Without Arms, lavoro che va ad amplificare ulteriormente il già vasto orizzonte sonoro attraversato dalla loro musica in precedenza. Ciò non significa che quest’album rappresenti un momento di rottura col passato, ma è anzi descrivibile come un passo in avanti verso un sound più corposo negli arrangiamenti e più asciutto nella composizione, di più ampio respiro, che fa dell’immediatezza uno dei suoi cardini.
A differenza di El cielo, non siamo di fronte a un concept, e sia a livello lirico che musicale il disco si presenta come molto eterogeneo, e generalmente più lieve e leggero. I brani assumo connotati vividi e materici, perdendo il sapore onirico del disco precedente, e sebbene il tasso poetico sia sempre elevato, questa volta viene declinato con più concretezza. L’enfasi mistica che permeava El cielo viene ora sublimata in brani come l’opener Ode to the sun, con un approccio che, per certi versi, ricorda gli U2 più onirici e ispirati. I tempi si fanno più veloci, le tonalità degli strumenti più chiare e aperte, come se il sole a cui rende omaggio la canzone citata risplendesse su tutto l’album.
La cifra stilistica fondante di Catch Without Arms sembra proprio essere la luce, la luminosità, più volte richiamata nei testi del sempre bravissimo front-man Gavin Hayes, contrapposta, o meglio, complementare, al felling notturno e umbratile di El cielo.
A livello sonoro, l’impasto degli strumenti (prodotto e supervisionato da Terry Date, che non necessita presentazioni) si fa più melodico, con una spiccata ricerca armonica che porta all’individuazione di soluzioni anche originali e inconsuete, come l’inizio in slide guitar del meraviglioso singolo Bug eyes, le strofe quasi rappate di Zebraskin, le alternanze fra pieni e vuoti di Sang real. La performance vocale di Hayes (autore, fra l’altro, anche dei disegni che illustrano il booklet) è cristallina ma piena, e riesce a evocare la serenità e la malinconia, l’alternanza fra speranze e fallimenti che animano il tempo e la vita.
Il grande impianto melodico di strumenti e voce fa il paio con la ricercatezza a livello ritmico del drummer italo-americano Dino Campanella, sempre più interessato alle sperimentazioni di percussioni non convenzionali, elettroniche, vintage, discorso che va ad approfondire il solco che separa questa particolarissima band dalle altre formazioni alternative-rock. Non sembra dunque del tutto infondato il paragone di certa stampa di genere, che vede nei Dredg i nuovi Genesis, oppure i nuovi Pink floyd, rendendo così merito a una ricerca artistica molto personale che, sebbene non ascrivibile al prog-rock, ne condivide almeno l’ispirazione.
Sì è detto della grande melodicità dei brani, ma la componente maggiormente rock non è andata persa, e anzi, rispetto a El cielo, sono presenti composizioni con momenti anche molto ruvidi e tirati, come The Tanbark Is Hot Lava, oppure Hung Over On A Tuesday. L’album è quindi molto completo, e nei 50 minuti di durata attraversa momenti più leggeri e solari (Spitshine) così come altri di grande riflessività (Jamais Vu).
Il viaggio sonoro di Catch without arms sottende una band compatta, matura, e in possesso di capacità espressive e comunicative non scontate, che riesce a catturare l’ascoltatore e affascinarlo, grazie all’indubbia carica emotiva di brani ricchi e densi di sfumature, che si fanno apprezzare sin da subito, ma che poi continuano a farsi scoprire in profondità, col passare del tempo. A cinque anni di distanza un disco ancora perfettamente valido e fresco, che sottolinea come sia possibile creare musica profonda e al contempo immediata, melodica ma non banalmente pop, ma sopratutto in grado di comunicare pensieri e sensazioni ai propri ascoltatori.
Semplicemente grandi.
- Ode to the Sun
- Bug Eyes
- Catch Without Arms
- Not That Simple
- Zebraskin
- The Tanbark Is Hot Lava
- Sang Real
- Planting Seeds
- Spitshine
- Jamais Vu
- Hung Over on a Tuesday
- Matroshka (The Ornament)