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Drifter: Henry Lee Lucas

Creato il 04 novembre 2010 da Soloparolesparse

La cosa più assurda di Drifter: Henry Lee Lucas è che la storia raccontata è talmente incredibile da sembrare abbondantemente gonfiata, ma se poi andiamo ad approfondire la storia vera del serial killer scopriamo che il film è invece decisamente meno incredibile della realtà.

Henry Lee Lucas è il serial killer cui sono riconosciuti il maggior numero di delitti (più di 200 degli oltre 3000 di cui si è auto accusato) e prima del film di Michael Feifer ispirò il chiacchieratissimo  Henry: pioggia di sangue.

Drifter: Henry Lee Lucas

La storia nel film non è raccontata in ordine cronologico.
Vediamo alcuni momenti del rapporto tra Henry e la quattordicenne Becky, l’omicidio della stessa, poi ritroviamo Henry nelle mani dei Texas Ranger.
La vicenda viene ricostruita dal racconto di Henry fatto in parte allo sceriffo, in parte ad un giornalista ed in parte al procuratore generale.

Nonostante tutto la storia è molto chiara e ben ricostruita, anche se per capirci qualcosa con maggior tranquillità è bene andare prima a leggersi chi era Henry Lee Lucas.

Il film è comunque ben fatto.
Vengono fuori con chiarezza i soprusi estremi subiti dalla madre, la prostituzione della stessa e si intuisce che da lì nasce la sua rabbia, la sua incapacità di stare al mondo ed il suo rapporto deviato con il sesso che lo portava ad avere rapporti con i cadaveri delle sue vittime.

E viene fuori in maniera discreta anche il rapporto con Ottis Toole, col quale condivisero una parte di strada formando una coppia di assassini incapaci di vivere nel mondo che li accoglie: il necroforo ed il cannibale.

Drifter: Henry Lee Lucas

Feifer ci spinge a credere che Lucas abbia inventato buona parte dei suoi racconti (era un bugiardo riconosciuto ed incorreggibile) al punto da farcelo credere colpevole solo dei due omicidi per cui fu condannato. In realtà la storia dice che i cadaveri che lasciò sulla sua strada furono molti di più (pur non raggiungendo presumibilmente i 3000 di cui lui stesso parlò).

Non si lesina sul sangue (e sapete che per me è un bene) ma è solo accennato il cannibalismo di Toole (e su questo si poteva fare di più).

Tra tutte le efferatezze mostrate e lasciate intuire nel film, quello che sconvolge più di tutto è l’uso dell’elettroshock come tecnica di cura ancora ampiamente e regolarmente utilizzata in quegli anni negli Stati Uniti.

Fanno un po’ perdere il ritmo le sequenze musicali che vorrebbero forse mitizzare la storia di Henry ma falliscono l’obiettivo e finiscono per sembrare degli intermezzi fini a se stessi.

Buone le interpretazioni di Antonio Sabato jr. (occhio di vetro a parte) e della giovane Kelly Curran, tuttavia più efficace nella sequenza dell’omicidio che non in quelle in cui lascia venir fuori la ragazzina stupida.


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