Prendiamocela comoda, per parlare di questo film, magari ascoltando un po’ di musica.
Il regista è Patrick Lussier, vi dice niente? A me no. Poi, però, andiamo a sbirciarne la carriera e lo troviamo iperattivo in quanto editor, un po’ meno come regista, solo otto titoli, infatti: uno più brutto dell’altro. Ma, in fondo, non ci interessa.
In Drive Angry ci sono Amber Heard e Nicholas Cage. Questo è il punto. Sì, ok, c’è anche William Fichtner, e meno male, perché lui ci regala qualche perla. Ma non divaghiamo.
C’è Nicholas Cage, nipote di Francis Ford Coppola; Cage, l’uomo che cambiò il suo nome per crearsi il proprio destino. Shakespeariano. In questi anni, si dice anche per i problemi avuti col fisco americano, l’abbiamo visto cimentarsi con qualunque ruolo, in qualunque prodotto. Statisticamente, avrebbe dovuto azzeccare almeno un film. Invece, ne ha centrato solo mezzo, Kick Ass, solo che l’altra metà degli spettatori, otaku del fumetto, nega l’accaduto. Povero.
Ma qui, oggi, ci penso io a restituirgli un po’ di dignità. Proprio così. Io che l’ho massacrato (e continuerò a farlo, probabilmente), sono qui a dirvi che Drive Angry è un buon film action: cazzaro e infernalista quanto basta per divertire.
Confessate, quanti di voi (compreso qualcuno che conosco bene) hanno interrotto la visione dopo il primo quarto d’ora perché… non lo sapete manco voi? Volevate, cosa? Il film serio? Non è Drive Angry.
Drive Angry, al contrario, è figlio degli anni ottanta, con qualche peccatuccio che ne mina la resa finale (Cage compreso), ma resta, confrontato col panorama odierno, un piccolo miraggio.
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[Spoilers, spoilers, spoilers!]
Ecco, Cage; qualcuno dovrebbe seriamente parlargli e trovare un compromesso rispetto alle sue parrucche. Credevo che il peggio in materia di capigliature strambe si fosse visto ne L’Ultimo dei Templari. Mi sbagliavo.
Qui, biondo, con la sua strana faccia spigolosa, che gioca a fare Milton armato di fucile a pompa, Cage è persino più inguardabile.
Milton, colui che scrisse Il Paradiso Perduto. E no, non è lo scrittore. Milton di Cage è un padre che, letteralmente, fugge in auto dai Cancelli Infernali, in barba ai diavoli guardiani, e torna sulla terra per vendicare la morte della figlia causata da una setta di satanisti, e salvare la di lei figlioletta, in procinto di essere sacrificata al prossimo plenilunio.
D’accordo, non sembra una trama esaltante. Ma c’è modo e modo di metterla in scena. E Lussier adotta il metodo cazzaro: ovvero, esagera, non prende sul serio l’intreccio, tentando di conferirgli una drammaticità che non può possedere, e che al contrario sfocerebbe nel ridicolo involontario, e non prende sul serio manco Cage, il quale, d’altro canto, non rinuncia a tentare di dare di sé l’immagine del guerriero senza macchia e senza paura, tormentato e virtuoso, con pia accettazione del proprio destino infausto incorporata: FAIL, per quanto lo riguarda.
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C’è Amber. A lei è impossibile non prenderla sul serio. Il ruolo è quello della cameriera, tastata dal capo ciccione e untuoso, cornificata dal fidanzato scemo e violento, coinvolta (non si riesce proprio a capire perché) da Milton nel suo percorso di vendetta: a questo punto, ritengo a causa della sua bella macchina: una Charger del ’69.
Charger che viene sabotata da Milton onde farla fermare lungo la strada in modo da: far uscire Amber dal veicolo e concedere una sexy camminata in jeans cortissimi e stivali, farla chinare sul cofano, e sopraggiungere vincente a mostrarle come si mette a posto lo spinterogeno. Nessun doppio senso, è proprio questo che accade.
Ma, ehi, proprio queste scene accadevano nei film che abbiamo amato. Quei film.
Cage potrebbe essere uguale a Nada di Essi vivono. Strafottente, chiassoso, che prende un fucile a pompa e inizia tranquillamente, in pieno giorno, a sparare a tutti quelli di cui si vuole vendicare. Peccato che gli manchino, a Milton, battute altrettanto fighe. La polizia non esiste, in questo mondo da fumetto. Non esistono i vicini che dovrebbero chiamarla. Non esiste la legge, ma solo la tamarraggine delle scene, che si susseguono imperterrite, sempre più folli. E gratuite. Ma con metodo, ricercando l’intrattenimento che svacca.
Glielo riconosco, a Lussier. Non foss’altro che avere Amber a disposizione vuol dire, se lei accetta, farla uscire dalla macchina e andare ad aprire il cofano, in jeans cortissimi e stivali, non so se è chiaro. Uno diventa regista proprio perché, almeno una volta in tutta la carriera, avrà la sua Amber che gli farà una scena simile.
Non si passa alla storia del cinema, con una cosa così. Ma ci si siede nel portico, alla pensione, sorseggiando whisky e guardando i nipotini che giocano in giardino col cane, sorridendo soddisfatti.
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E quindi Nicholas, Amber e William Fichtner. Quest’ultimo nel ruolo sovrannaturale del Contabile, che sovrintende la popolazione infernale e recupera le anime che eventualmente riescono a fuggire. Porta con sé un obolo, un’antica moneta greca, che di solito veniva messa sugli occhi dei morti, perché potessero pagare il traghettatore. E, sogno o son desto, nel fare la sua comparsa, in completo blu e cravatta scura, fighissimo ed elegante, attraversa un fiume. Simbologia infernale in un film di Cage, per una volta non banale? E perché no.
Il Contabile, poi, si rivela un cattivo d’eccezione, di quelli che tra una ventina d’anni ricorderemo sghignazzando, specie alla scena del blocco stradale, quando a bordo di un camion contenente azoto liquido, lo stesso distrugge il blocco della polizia onde permettere a Cage e Amber di scappare. Sì, il Contabile ha una morale ambigua, inutile starvi a spiegare il perché. Quel che conta, è che lo fa ascoltando questa canzone. Il che me lo fa amare alla follia.
E poi, c’è la scena di sesso con sparatoria annessa. Nel senso che Milton continua ad accoppiarsi (non con Amber, per fortuna) con la cameriera di un motel, mentre tutt’intorno un gruppo di sicari penetra (sì, ho usato questo verbo apposta) nella stanza per fargli la pelle. Ecco, questa scena da sola me lo riscatta, Cage, nonostante Clive Owen l’abbia fatta prima, con Monica Bellucci. Dall’Olimpo del trash moralista in cui s’è ficcato da solo, al trash più sordido, quello da ridere. Questo, accoppiato con Amber che si fa rifare lo smalto alle unghie dei piedi nella stanza accanto da uno schiavetto raccattato nel locale la stessa sera, e il fatto che Milton vuole vendicarsi del suo nemico staccandogli la testa e bevendo una birra nel suo teschio ripulito, cosa che *SPOILER* fa, letteralmente.
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Non privo di difetti, Drive Angry, e di tempi morti. Sempre a causa di Cage, che è vero che si mette a fare le cose descritte sopra, ma non rinuncia (maledetto lui) a darsi le arie da anti-eroe tenebroso. Ovvero a prendersi, contro tutto il resto, film, regista, Amber (che si diverte, al contrario), dannatamente sul serio. Per fortuna è una cosa che si nota poco, a parte quando gli si concede il monologo sui dannati che assistono impotenti, dall’inferno, alle sofferenze dei propri cari. Due palle.
Però, ehi, c’è tutto il resto. E c’è Amber. Più che sufficiente.
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