A forza di criticarlo potrebbe sembrare che la sia abbia con lui, ma la verità è che lui, lo scrittore Roberto Saviano, ad insistere con provocazioni alle quali non si può non rispondere, anche perché sono veicolate da fior di giornali. Nel suo ultimo intervento su L’Espresso – chiarissimo fin dal titolo: “Droga libera, battaglia di civiltà” -, lo scrittore partenopeo rilancia con forza la tesi della depenalizzazione delle droghe quale urgenza sociale. Ora, posto che allorquando si parla di una materia simile emerge un problema morale di non poco conto che nel pezzo in questione non viene affrontato, le stesse argomentazioni proposte paiono scarsamente convincenti. Esaminiamole singolarmente.
1. Si scrive che depenalizzando il consumo delle droghe si avrebbe «una diminuzione dell’affollamento delle carceri». A parte che si tratta di una tesi non convincente laddove antepone aprioristicamente la necessità di fare spazio nelle carceri all’esame delle ragioni per cui un detenuto vi si trova – ragionando così potremmo dire che anche depenalizzando la rapina a mano armata, avremmo «una diminuzione dell’affollamento delle carceri» -, se l’allusione è, come pare, al caso italiano e alla Legge Fini-Giovanardi, occorre precisare come questa norma, recentemente dichiarata incostituzionale, non ha generato alcun affollamento delle carceri: gli ingressi annuali in carcere per reati connessi alla droga, infatti, erano 22.808 nel 2001, 23.356 nel 2002, 23.719 nel 2003, 24.603 nel 2004 e quando la legge è entrata in vigore, nel 2007, sono rimasti 24.000 non comportando alcun affollamento delle carceri che già non vi fosse.
2.«Chi fa uso di droghe non è un criminale, ma una persona che vive un disagio: va curata con misure diverse dalla detenzione», scrive poi Saviano. Siamo d’accordo con quest’affermazione esattamente come verosimilmente lo sono tutti. Persino – per stare ancora al caso italiano – i proponenti della contestata Fini Giovanardi che, oltre a non generare alcuna crescita di ingressi in carcere, non ha mai previsto la galera per nessuno, men meno per il semplice consumatore, eccetto quanti implicati in spaccio, coltivazione, traffico o produzione. Chi vende droga ai ragazzini non dovrebbe forse essere perseguito? Chi non considera minimamente problematico il distruggere l’esistenza di tanti giovani e delle loro famiglie pur di arricchirsi col traffico di stupefacenti non merita forse il carcere? Crediamo che su questo aspetto, e cioè la punibilità di criminali senza scrupoli, non vi siano dubbi. Esattamente come non ve ne sono sul fatto che questo tutto questo aspetto del discorso non costituisce affatto un buon argomento per rendere libera la droga.
3.«Studiando i dati delle politiche proibizioniste attuate fino a questo momento, si è chiaramente dimostrata la loro inutilità». Non stentiamo a credere che questa tesi possa trovare molti d’accordo. Il punto è che, oltre a non capire di quali dati si parla, non è neppure chiaro quali sarebbero le politiche proibizioniste. Se, ad esempio, proibizioniste sono le politiche attuate fin qui dal nostro Paese saremmo costretti a ritenere falsa questa affermazione dal momento che – stando ai dati ufficiali più recenti – il consumo di sostanze stupefacenti nella popolazione generale (15-64 anni, uso di sostanze almeno una volta negli ultimi dodici mesi) è in calo, conformemente alla «tendenza alla contrazione dei consumatori già osservata nel 2010, per tutte le sostanze considerate» (Relazione annuale al Parlamento – Uso di sostanze stupefacenti e tossicodipendenze in Italia Dati relativi all’anno 2012 e primo semestre 2013 – elaborazioni 2013, p. 6). Quindi delle due l’una: o in Italia non vige alcun proibizionismo oppure il proibizionismo, piaccia o meno, è tutt’altro che inefficace e inutile.
4. «Questa (la depenalizzazione delle droghe, ndr) è la tendenza mondiale […] non possiamo permettere che l’Italia vada nella direzione opposta al resto del mondo». L’idea che l’opportunità di una scelta politica dipenda da ciò che fa un non meglio precisato “resto del mondo” presenta una fragilità argomentativa che non abbisogna di commenti. Quel che si può invece dire – soffermandoci per esempio sulla cannabis e sulla sua liberalizzazione – è che questa sostanza è tutt’altro che innocua. Un recente studio effettuato alla luce di altre 120 pubblicazioni internazionali (Cfr. “Neuropharmacology”, 2014; 76 Pt B:416-424) ha messo in luce – come lo stesso settimanale L’Espresso, citandolo, ha riportato lo scorso 14 marzo – che «l’uso di cannabis nei ragazzi ha profondi effetti sullo sviluppo del loro cervello, che è ancora in atto» tanto che «un ragazzo su quattro sviluppa una chiara tendenza all’uso di droghe più pesanti, che può evolvere in dipendenza». Che un ragazzo su quattro passi dalla cannabis «all’uso di droghe più pesanti», quali che siano le scelte del “resto del mondo”, pare un’ottima ragione per evitare di abbassare la guardia sulle cosiddette “droghe leggere”.
5. «Questa è proprio una questione di civiltà». E’ la chiusura solenne dell’articolo: droga libera come nuova frontiera della civiltà. Non si sa se la pensino così i parenti di milioni di giovani e meno giovani morti per overdose. Non sappiamo neppure se la pensino così i cittadini del Colorado, dove la legalizzazione delle droghe leggere, a fronte di una sostanziale stabilità degli incidenti d’auto mortali dovuti all’alcol, è stata seguita da una crescita di quelli dovuti al consumo di cannabis, che sono triplicati nel giro di appena dieci anni (Cfr. “American Journal of Epidemiology”, 2014; 179(6):692-699). Soprattutto, ignoriamo se la pensino così tutti coloro che ritengono che drogarsi sia un male e che il male, qualunque sia la sua manifestazione, debba essere combattuto in quanto tale. Sempre e comunque. Tutti costoro, davanti all’ipotesi di quella della droga libera quale battaglia di civiltà, avrebbero – è lecito immaginarlo – qualche dubbio. E forse anche più di qualche.