In questi due anni mi sono successe tante cose, tra cui il fatto che sia andata a Bologna almeno un paio di volte, che abbia conosciuto delle belle persone che parlano con la stessa zeta strana di Dalla e che ti ascoltano con quel sorriso lì un po’ da prenderti in giro, ma che da un momento all’altro diventa serio. Ho sentito l’odore sotto i portici che sentiva lui, sono quasi scivolata, come sicuramente è capitato a lui due milioni di volte, su quei pavimenti di marmo, eleganti e micidiali. Ho respirato come lui quell’aria emiliana, inconfondibile, in bilico fra campagna e città.Mia sorella Serena abita a Bologna da tanti anni, e quando sono andata a trovarla e sono uscita da sola, mi è venuta immediatamente in mente la frase di Dalla: “A Bologna non si perde neanche un bambino”. Beh, ragazzi, con il cuore in mano, sperando di non fare arrabbiare nessuno, ve la devo dire: non è vero. Io mi sono persa, malgrado le cartine disegnate con un Tratto Pen da Serena, con la sua mano sinistra, su un foglio a quadretti. So che non bisognerebbe dissentire con il Maestro, ma a me, cocciuta milanese, sembra che le strade siano tutte molto simili. Vabbé, non stiamo qui a far polemiche.Ho notato, mentre cercavo di ritrovare la strada dove abita Serena, che Bologna ha la faccia di Lucio Dalla, un po’ tonda, sorridente ma anche seria e concentrata, incorniciata dagli occhiali e con un retrogusto di trasgressivo che la rende giovane malgrado gli anni. Ho notato che i bolognesi parlano di Lucio (così lo chiamano) come se ne fosse stato il re, con una fierezza umile e sincera. Tanti raccontano della volta che lo hanno visto camminare per la piazza, o andare al ristorante, o scendere dalla macchina e aprire il portone a notte fonda, e te lo vogliono raccontare per farti capire che era uno di loro, malgrado fosse IL Lucio Dalla amato da tutti. Di lui ho notato che ci sono anche i colori, rossi vivi contro un cielo blu estate, i disegni sui pavimenti delle piazze. C’è poco grigio, a Bologna. Ci sono, se si ci si fa caso, anche gli odori, di pasta fatta in casa, di ragù su dalle otto del mattino. Quelle famigliarità che ti fanno sentire a tuo agio, come famigliare era la sua musica, che ha accompagnato la vita di tanti.In questi due anni è anche successo che ho scoperto canzoni di Dalla che mi hanno illuso che fosse ancora vivo, perché per me erano nuove, come se le avesse fatte qualche mese fa: Quale Allegria, Due Ragazzi, Solo. Era come se Dalla mi dicesse, “Ascolta questa! È nuova!”. E io ci sono cascata in pieno nel suo trabocchetto di sempre, sognando di stare con lui in una cantina bolognese davanti a un bicchiere di rosso dei colli e invece trovarmi nella mia macchina sulla Route 20 nel Massachusetts, a piangere da sola. Ne ho anche riscoperte di vecchie che non ascoltavo da anni, tipo La Casa in Riva al Mare, o Sylvie, o Un Uomo Come Me, o 1983 e ascoltandole ci ho ritrovato le stesse immagini che avevo negli occhi l’ultima volta che le avevo scoperte da piccola, come se avessi schiacciato pausa per tutti questi anni e poi, d’un tratto, play. Click.Bologna in questi due anni ne ha persi tanti altri, di maestri: Claudio Abbado, Freak Antoni, per esempio, persone anche loro legate alla musica che hanno fatto la storia d’Italia, chi in prima fila e chi sovversivamente. Ma la morte di Lucio Dalla a me sembra diversa, perché ha colpito proprio tutti, e non solo gli appassionati di musica classica o di musica demenziale e poesia genialoide.Insomma, mi sono spiegata: due anni e sono ancora qui con il magone, appunto.
Magazine Diario personale
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