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Due articoli su scuola e cultura

Creato il 11 settembre 2011 da Tiba84
Dalla Repubblica di ieri, un breve scritto di Marc Fumaroli sulla scuola e uno di Bartezzaghi a commento dell'improbabile test d'ammissione a Medicina.
Perché la storia dell´arte può offrire lo spunto per inventare la didattica futura E fondare così una "paideia" del XXI secolo da contrapporre al mercato dei gadget
Creiamo un regno delle immagini come gli umanisti del Quattrocento (M. Fumaroli)
Il maestro di color che sanno, Aristotele, chiama schole, scuola, il periodo di vacatio che viene concesso all´infanzia e all´adolescenza degli uomini liberi prima dell´inizio della vita attiva, e durante gli anni in cui le giovani facoltà sono più ricettive. È allora che bisogna seminare il buon grano che lieviterà per tutta la vita e che verrà raccolto in una vecchiaia felice. Spetta dunque alla scuola gettare le basi della maturità libera e civilizzata. Dal Medioevo di Alcuino al Novecento di Alain, questa definizione aristotelica della scuola non è mai stata smentita.
La democrazia moderna ha voluto estendere a tutti i cittadini la possibilità di godere del privilegio ateniese della schole. Oggi questa logica generosa non è più oggetto di un´adesione unanime ed entusiastica. Qualcuno ormai vede nella schole aristotelica o nell´Università del cardinale Newman (l´idea è la stessa) solo un lusso inutile. La scuola utilitaria, al servizio del mercato, serve a procurare un lavoro, non a formare uno spirito libero e critico, a educare un gusto, a risvegliare delle doti. Altri farebbero volentieri a meno di qualsiasi a scuola, utile o meno: sono i padroni di un mercato onnipresente, le cui immagini e i cui gadget, rinnovati costantemente, hanno i bambini e gli adolescenti per clientela e per target. Così è la scuola di oggi e di domani: è ovunque e da nessuna parte. A che serve, ci si domanda, la scuola arcaica? In questa nuova scuola non si inseminano le facoltà naturali, le si rimpiazza con una memoria, un´immaginazione, un´intelligenza artificiali. I videogiochi di guerra si prendono perfino la briga di sostituire il senso morale elementare con un´indifferenza calcolata nei confronti della sofferenza e della morte di altre persone. Sì, sono questi i barbari, numerosi, miliardari, che prosperano fra di noi.
Dunque il problema della scuola non è mai stato tanto scottante. La sfida è gigantesca. Come gli umanisti del Quattrocento, ma con ben altra urgenza e con nemici ben più attrezzati, abbiamo il dovere di inventare, contro gli utilitaristi e contro gli stregoni, la schole, l´università e le scienze umanistiche di oggi e di domani. Dobbiamo ritorcere contro i barbari le loro stesse armi. Hanno conquistato l´impero delle immagini? Dobbiamo contrapporgli i regni dell´immagine! A mio parere sarà intorno alla storia dell´arte, capace di unire tutte le scienze umanistiche, che dovrà emergere questa paideia novantica di cui oggi sentiamo tanto crudelmente la mancanza. L´Italia è nella posizione adatta per ricominciare in circostanze nuove l´avventura della Villa Giocosa e delle Accademie fiorentine.

La deriva della cultura etnica (S. Bartezzaghi)
«Tortellini: in brodo o al ragù?». Secondo una leggenda diffusa negli anni Ottanta all' Università di Bologna, questa era la tipica domanda che il peraltro geniale Piero Camporesi, esperto di letteratura italiana e storia dell' alimentazione, rivolgeva agli esaminandi e soprattutto alle esaminande che dal trenta offerto chiedevano una chance per il trenta e lode. Per chi avesse avuto la sventurata idea di rispondere «ragù» il voto calava sino al ventisette. Neppure Piero Camporesi, però, poteva concepire il sadismo di imbastire, come alla Sapienza di Roma, un test etnico sulla grattachecca (qualcosa che fuori Roma chiamiamo «granita», ma che comunque non si può confondere con l' originale). E neppure ai danni degli studenti del Dams di Bologna, che in materia di eccentricità erano a torto convinti di non avere bisogno di lezioni: ma addirittura a quelli di personale paramedico, la cui professionalità non dovrebbe essere umanamente conculcata dall' eretica fiducia nell' esistenza di un' impensata grattachecca al cioccolato. Il principio non è sbagliato: non c' è solo la tecnica, è desiderabile avere in ospedale un infermiere che non sappia solo suturare. Solo che per tradurre il principio in pratica bisogna fare i conti con quello spaventoso equivoco che passa sotto il nome di «cultura generale». Cos' è la cultura generale? Come definirla, confinarla? Sapere in quale secolo è vissuto Garibaldi, non confondere il Marocco col Barocco, mettere le giuste doppie ad «approfittare»: e poi? Sulla nativa demenza dei test di cultura generale, si innesta poi l' attualissima voga della circoscrizione etnica, del radicamento sul territorio, sino al tic linguistico (tecnicamente si chiama "shibolleth") che identifica lo straniero, il potenziale nemico. "La Sapienza si protegge dietro alla muraglia della Grattachecca": sembra il titolo di un dipinto allegorico del Seicento e forse, a pensarci bene, proprio lì siamo.

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