Magazine Ciclismo
“Sono contento che sia finita, troppo vento, è stata dura. E sono contento che sia finita così: Marco ha attaccato tante volte, era giusto che vincesse lui, anzi aveva il diritto di vincere, per come ha corso e per quello che rappresenta”.
“La vittoria di tappa non era la più importante. Io pensavo alla classifica. Andy ha retto il peso di tutta la salita, ed era giusto che finisse così.”
IL COL DU TOURMALET HA RECITATO LA PARTE DEL PALCOSCENICO PRINCIPALE, PER LA VERA CONCLUSIONE DEL TOUR 2010? VEDREMO DOMANI SE SARA’ QUESTO IL FINALE.
S’APRONO RIVERBERI DI UN CICLISMO PASSATO, QUANDO ALTRI DUE GIGANTI SI AFFRONTARONO SU UN ALTRO LEGGENDARIO COLLE DI FRANCIA.
Il 13 luglio 2000 un formidabile scalatore italiano aveva da pochi giorni coniato la sintesi dialettica che avrebbe costruito, intorno ad un ciclista americano, il soprannome di Space Cow-Boy; “Quello lì è di un altro pianeta!” furono le parole dell’italiano sceso di sella dopo il traguardo di Hautacam. Quel giorno, sul Mont Ventoux, andò in maniera diversa. Faceva caldo, l’italiano tribolò non poco per restare a ruota di quell’americano. Poi si rifece sotto, prese fiato, forse coraggio, si alzò sui pedali e cercò di scappar via come tante volte aveva fatto in passato.
A pochi chilometri dalla fine la maglia gialla gli si fece sotto. Si perché, dando l’anima come mai prima, lo scalatore italiano aveva fatto il buco dietro a sé. Un tedescone con un motore superpotente, ma senza rispesa, saliva regolare. Un francese che in quegli anni vinse quasi ogni anno la maglia pois non ne aveva più. Uno spagnolo che aveva vinto un Mondiale colombiano, forando a meno di un chilometro dalla fine, era scoppiato da un pezzo. L’americano lo affiancò, l’italiano, e gli disse “Come on, Marco!”. “Dannato texano, ma non lo vedi che ‘sto al gancio?” avrà pensato l’italiano in quei secondi.
Sul Tourmalet c’è uno spilungone biondo, un ragazzo in gamba, che sta simpatico a tanti, deve scappare, staccare e guadagnar secondi a pacchi su un formidabile scalatore iberico, vestito di giallo dal casco alle scarpe. Ci prova il ragazzone venuto dalla terra di Gaul. Ma quello lì, lo spagnolo, mica si stacca. Anzi, quando mancano tre chilometri alla fine proprio questi gli pianta uno scatto di 200 metri che vale più di un bel discorso. Il Tour è finito? È durato quei 200 metri? Ma non erano 3.600 chilometri? Vincerà ancora il moro, o sarà il biondo di bianco vestito a fargli uno scherzo da prete? Sperava, il conterraneo di Gaul, di lanciare l’esca giusta. Gli piace la pesca al ragazzo. L’altro invece preferisce cuocere gli avversari pian piano. Non li ha mai maltrattati. Non ha mai voluto stravincere, si è sempre accontentato di vincere. gli basta quello.
Resta una pacca sulla spalla sulla linea del traguardo; chi la fa all’altro? Il Tour è finito? Ancora no; per ora si è accontentato di farci vedere chi è il più forte. Ancora una volta. Poi chi vincerà, quello, lo vedremo domenica sera. Cosa te ne fai di 8 secondi?
Chidetelo a Fignon.