Magazine Cultura

Due giornate fiorentine

Creato il 15 dicembre 2014 da Pim

E fu proprio mentre portavo due bicchieri
che mi dicesti "Indovina chi è venuto ieri?".
Io chiesi "Chi?" però sapevo di sapere,
il primo amante in fondo è come il primo amore.

Il treno partiva da Termini alle otto e trenta, i passeggeri sistemavano valigie di ogni misura e guardavano fuori dai finestrini. Luisa aveva un libro aperto davanti a sé e seguiva il flusso dei pensieri. Avvertiva palpabile una piacevole quanto indecifrabile serenità: esisteva forse una irrimediabilità nel corso delle cose, la realtà si accomodava gradualmente a indicare sviluppi piacevoli. Le circostanze inattese la attiravano e non aveva neppure dovuto forzare l’incontro cui si accingeva.

Pomeriggio da solo in un po' troppa Toscana,
ho pensato "Ma brava", va beh ho pensato "Puttana!",
poi che io non c'entravo e che eri stata felice
con chi non importa e la storia non dice.

La stanza dell’albergo si apriva su un balcone stretto, con ringhiera di ferro battuto e tende dalla stoffa corposa. La finestra socchiusa lasciava entrare la luce satura di pulviscolo del primo pomeriggio e un angolo slavato di cielo percorso da nuvole sottili. Libera da pesi insondabili, Luisa stava offrendo al proprio corpo il piacere di un breve esilio, incantato e segreto.

Le mie tasche eran piene di varie ed eventuali,
ma i tuoi giorni con me son stati tutti uguali.
Con lui eri Firenze, i monumenti, il cielo, il letto,
con me oggi una noia da sala d'aspetto.

La sera finì per sfumare il profilo elegante delle cupole e dei palazzi rinascimentali. Fingendo di essere una studentessa che torna da lezione, Luisa camminava così lentamente da poterle misurare i passi. Si domandava se fosse mai possibile scomparire senza destare sospetti, supposizioni, essere certi che nessuno avrebbe seguito le sue tracce. Sapeva di aver avuto il privilegio di potersi rifugiare in una città che amava, per poi tornare, come dopo un’esplorazione geografica.

E la sera per cena mi son pure travestito,
per spiare quel gesto che ti avrebbe tradito;
ma il naso a palla e gli occhiali con la corda
mi segavano in due la parte che ricorda.

Non lo ammise mai, però qualche sera prima Egon aveva aperto di nascosto la sua borsetta. Tra rossetto e portafoglio aveva scoperto, ben ripiegato, un biglietto ferroviario. Da qualche tempo i percorsi di Luisa gli sgusciavano umidi dalle dita. Si frequentavano da vent’anni e sapeva bene che, dietro le apparenze, nessuna sua espressione era naturale o sentita. Tenendo fede al proprio nome di pittore la raffigurava priva di contorni definiti, come una tela senza cornice.

E sono esperimenti questi da non più tentare,
perché andando a svestirmi per tornar normale
non seppi più che togliermi di vero e di finto,
e confusi me stesso con la barba al mento.

Aveva finito per accettare che non aveva luoghi concreti nei quali cercarla. Luisa andava creandosi un’esistenza diversa, separata, come se volesse fermamente smarrire la percezione delle stagioni. Nella sua progressiva indecifrabilità era diventata ormai fisicamente intangibile. Egon passava il tempo a chiedersi cosa era venuto a mancare nella loro relazione per rivelarsi così affannosa, tormentata.

Come avevo confuso per giorni e giorni e giorni
il senso dei sorrisi e quello dei ritorni,
senza avere capito che tu stavi cambiando
e gridavi da sola e poi stavi vivendo.

Non poteva escluderlo. Egon stesso aveva perduto l’occasione di parlare, non sapendo né a cosa di concreto riferirsi né i dettagli che avrebbe dovuto intuire. Osservava e osservava ancora, con premura disordinata, senza continuità né metodo. Lei prosciugava ad arte le domande facendole sembrare inutili, oppure le evitava con espressioni di circostanza o giustificazioni prolisse. A lui restava sul viso un’espressione interdetta, mal riuscita.

All'uomo della Chevron
che non aveva capito ripetei sillabando:
"Ho paura del lupo, ho paura, paura, paura del lupo”.
E lui con la pompa in mano e con il tappo nel guanto,
come stesse nel mondo a dar benzina soltanto,
mi guardava stupito chiedendomi "Quanto?".

Al bar di una stazione di servizio, riempito di fumo e di volti, non ci si può aspettare altro che un interesse provvisorio. Sembravano tutti spossati quella sera: i camionisti con le mani solcate da crepe, gli operai dagli occhi cerchiati, anche la cameriera in fondo al bancone. Quasi fosse stato contagiato, Egon sentiva una fatica oscura allargarsi nel petto. Appoggiato a uno sgabello, la indossava come un abito grigio fuori misura e che, con gesti goffi, si cerca di nascondere allo sguardo altrui.

"Tanto che a Lodi non ci arrivo mai
si nasconde là dietro finché sto qui, ma poi
quello m'insegue fino a casa mia, stia qui, mi faccia un po' di compagnia...".
E l'uomo della Chevron che non aveva capito,
fece tre passi indietro, non pulì neanche il vetro,
disse "Mamma mi aspetta" e fuggi nella notte.

Si era offerto di andarla a prendere al rientro e giunse appena in tempo, mentre lei già usciva dal sottopasso della stazione. Non gli sfuggì il viso disteso, acceso di un nuovo colore, indossava un abito appena acquistato. Luisa lo accolse con un abbraccio e il solito eloquio, come sempre amabile, il tono di voce morbido. Le frasi avevano un senso talmente compiuto da non lasciar alcuno spazio a un dialogo aperto. Non accennava a niente d’importante, mentre Egon avrebbe voluto che riempisse di particolari le descrizioni lasciate sfocate.

E adesso che sto fermo e sento meglio il vento,
adesso che non ne parliamo più da tanto tempo,
c'è tua madre che non sbaglia mai e la cena con gli amici
e a volte a far l'amore siamo quasi felici.

Come capita nelle relazioni di lunga durata, l’isolamento di Egon e l’ambiguità di Luisa divennero stile di vita. D’altro canto, quando certe ragioni nascono da un intreccio di motivi, diversi e tutti egualmente rilevanti, non c’è soluzione che possa riconciliare. E per quanto gli interessi comuni o una certa comune indolenza non vietino di proseguire un rapporto sfilacciato, una separazione interiore non si cancella. A un certo momento non conta più nulla. Nemmeno che nessuno ami.

Le mie tasche sono piene di varie ed eventuali
ma i miei giorni con te sono quasi sempre uguali.
E un giorno ti dirò "Indovina chi è venuto?"
Ora sono cresciuto. "Guarda: non è bello il mio lupo?".


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine