"I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza." (Karl Marx, L'Ideologia Tedesca).
Se, da una parte, quest'osservazione non è peculiare del cosiddetto "proletariato", dall'altra parte vanno considerate le profonde implicazioni che ha l'assunzione di una tale affermazione per la classe lavoratrice: non avendo un particolare interesse di classe, da far valere contro un'altra classe, la vita del proletariato si vede caratterizzata unicamente dall'ostilità fra i suoi membri. L'anno dopo aver scritto "L'ideologia tedesca", Marx, in una serie di conferenze che poi verranno pubblicate con il titolo di "Lavoro salariato e capitale” , passava ad esaminare la concorrenza all'interno della classe operaia. In queste conferenze, Marx investigava la concorrenza fra la classe lavoratrice e l'impatto che tale concorrenza aveva sui salari. Quello che scopriva, era ben lontano dalla "fraternità operativa" della classe capitalista! Gli operai, spiega Marx, non si limitano semplicemente a competere gli uni contro gli altri vendendo la loro forza lavoro più a buon mercato, ma, a causa della divisione del lavoro e del costante miglioramento della produttività, un lavoratore rimpiazza 5, 10 o perfino 20 lavoratori, buttandoli fuori dal mercato dell'occupazione produttiva. E, man mano che il lavoro diviene più semplificato, il numero dei nuovi concorrenti che possono svolgere quelli che prima erano lavori specializzati, si incrementa ulteriormente. Più il lavoro è semplice, più si abbassano i costi di produzione, "e tanto più si abbassano i salari". Secondo Marx, tanto più il lavoro diventa sempre più repellente e monotono, tanto più cresce la concorrenza fra lavoratori e crollano i salari. "Nella misura, dunque, in cui il lavoro diventa tedioso e privo di soddisfazioni, nella stessa misura aumenta la concorrenza e diminuisce il salario. L’operaio cerca di conservare la massa del suo salario lavorando di più, sia lavorando più ore, sia producendo di più nella stessa ora. ". Marx ne descrive il risultato:
"Spinto dal bisogno, egli rende ancora più gravi gli effetti malefici della divisione del lavoro. Il risultato è il seguente: più egli lavora, meno salario riceve, e ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si offre, perché, in ultima analisi, egli fa concorrenza a se stesso, a se stesso in quanto membro della classe operaia".
L'osservazione più perspicace di Marx, comunque, non riguarda tanto la natura della concorrenza (il lavoratore che compete contro sé stesso), ma piuttosto il fatto che tale concorrenza cominci con il suo lavoro in fabbrica, e non con il suo tentativo di vendere la propria forza lavoro sul mercato. Marx non si concentra sulla disoccupazione e sulla concorrenza fra i lavoratori disoccupati che cercano di vendere la propria forza lavoro, ma evidenzia il ruolo svolto dal lavoro stesso all'interno della divisione del lavoro: è il lavoro, e non la disoccupazione che abbassa i salari ed aumenta la competizione fra i lavoratori.
I salari, i termini e le condizioni a cui il lavoro viene offerto sul mercato non sono, in alcun modo, determinati dall'offerta e dalla domanda di forza lavoro, ma vengono determinati dal lavoro, sempre più produttivo, dei lavoratori già occupati. E' il lavoro che produce simultaneamente la caduta dei salari e l'aumento della concorrenza dentro la classe operaia.
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