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“Due in uno” di Sayed Kashua: storia di arabi "assimilati" a Gerusalemme, fra grottesco e tragedia

Creato il 07 aprile 2014 da Michelam
Chi è Yonatan? Lo incontriamo per la prima volta addormentato nella sua stanza in compagnia del giovane arabo Amir. Pensiamo rimanga a letto di giorno a causa di turni di lavoro massacranti, gli stessi a cui è costretto quello che crediamo essere un suo amico. Ma nulla è ciò che appare. Yonatan è un diciottenne che non si sveglierà più; che non vuole vivere ma non vuole nemmeno morire. Può solo essere ucciso.   Di lui conosciamo quello che ha deciso di lasciarci in eredità e di raccontarci con le sue fotografie. Sappiamo che ora è quasi solo un nome, evocato all'infinito nel corso del romanzo. Eppure è il cardine misterioso attorno a cui tutto ruota; l'humus simbolico che nutre i personaggi; il catalizzatore delle crisi che travolgono le vite dei protagonisti di Due in uno.   Questo è il titolo del terzo romanzo scritto in ebraico dall'arabo israeliano Sayed Kashua ed edito da Neri Pozza nel 2013, nella traduzione di Elena Loewenthal. L'autore di Tira, classe 1975, è noto anche per i pezzi satirici pubblicati sul quotidiano «Ha'aretz» e sul settimanale «Kol Ha'Ir». Qui, come nella sitcom Avoda Aravit redatta in arabo e trasmessa dalla televisione israeliana, racconta con umorismo la vita degli arabi in Israele, i loro tentativi di inserirsi nell'ambiente culturale ebraico, il continuo confronto con i pregiudizi e l'intolleranza di entrambi i mondi.
Forse sarebbe però meglio dimenticare queste brevi note biografiche da risvolto di copertina (spie involontarie della possibile prospettiva autoriale) per godere appieno di un romanzo avvincente, denso, complesso e tutto da scoprire, a partire dal titolo ambiguo.   Due (o forse tre?) sono i protagonisti. Il primo è un avvocato arabo integratosi alla perfezione nella realtà ebraico-israeliana di Gerusalemme: ha deciso di indossare la maschera dell'“assimilato” e di sfruttarla per raggiungere l'ambito successo negli affari. Sicuro di poter gestire da vincente qualunque traversia, si è tuttavia dimenticato di vivere sotto copertura. Ignorava che la sua seconda pelle si sarebbe sfaldata al primo incidente non previsto, riprecipitandolo nei pregiudizi e valori di un'identità araba rimossa ma non cancellata e in una folle ossessione.   C'è poi Amir, arabo figlio di un collaborazionista, in fuga dalla madre e da una comunità che lo umilia, deride e isola per le colpe del padre. Amir, rifiutando questa condanna a vita, decide di spezzare ogni legame con le sue radici e ricominciare, anche lui a Gerusalemme.   Sono o sembrano due arabi figli di storie diverse, che maturano scelte e intraprendono percorsi differenti dopo essersi confrontati col mondo arabo e con quello israeliano. O sono forse due storie parallele, nella loro diversità e sfasatura, dato che, procedendo nel racconto, si è tentati di modificare il proprio punto di vista su di loro? Non li si scopre, alla fine, entrambi inseriti (o inghiottiti?) nel gigante politico, economico e culturale di Israele, polo di attrazione irresistibile per arabi disposti a rinunciare a sé pur di esistere? Ecco alcune delle tante domande che ci pone il romanzo di Kashua.   Non ci si può, infatti, abbandonare nelle mani dell'autore di Due in uno. Sta al lettore decifrare il possibile senso del romanzo, con grande attenzione, adottando l'approccio di chi è disposto a riassestare o rovesciare le sue interpretazioni, in dialettica con l'autore e coi personaggi, soprattutto con un Amir controverso che si racconta in prima persona.   Tutto merito dell'efficacissima struttura e dello stile narrativi di un libro capace di stupire contro ogni previsione iniziale. Il libro di Kashua è uno di quelli che si dovrebbero divorare in due o tre giorni, e poi essere letti di nuovo perché se ne indaghino tutte le pieghe, se ne afferrino almeno alcune fughe prospettiche tra le tante sfuggite, ci si interroghi sui livelli metaforici plurimi, acuendo la sensibilità alle variazioni a volte sottilissime dei registri di Due in uno, un dramma senza catarsi, che dal sorriso della satira ci porta alla tragedia e al grottesco dominante del finale. Due in uno è un romanzo che si impara a leggere mentre lo si legge. Ed è un romanzo che obbliga a riflettere.
  Di Kashua è ammirevole proprio la capacità di giocare tra prevedibilità e suspense, tra una quotidianità trita fatta di trame attese e bivi o trivi inaspettati. Tutto sembra comune e banale, all'inizio. Si ha quasi la certezza di conoscere la fine della storia. Ma si insiste a leggere, perché i personaggi sono grandiosi e perché si scommette sullo scrittore. Ci si dice: impossibile che un narratore esperto non ci sorprenda; qualcosa accadrà, dunque pazienza. Allora, come in una casa di cui pensiamo di conoscere ogni angolo, cominciamo a prestare attenzione a certi dettagli e minimi spostamenti, indizi che qualcosa non torna. Poi i segni si infittiscono e si fanno più palesi, finché appaiono diramazioni intricate di senso, percorsi multipli nell'orizzontalità della storia e nella verticalità della metafora.   Siamo del resto nel groviglio spazio-temporale e religioso-culturale che è Gerusalemme. Non sorprende che le linee temporali si intreccino, slittino le une sulle altre, procedano e retrocedano per l'implosione di un'impossibile coerenza cronologica. Non si sa quando, ma in sette giorni all'avvocato accade qualcosa per colpa di un nome, Yonatan, e in sette anni a un arabo sradicato capita di ricominciare a vivere dopo aver ucciso. Sé stesso in primo luogo.   Dall'alto, lo scrittore muove i fili di una storia che si scopre tutto fuorché lineare, benché chiarissima, e che non concede tregue, chiusure circolari o prospettive univoche. Ogni principio appare discutibile. Lo sono tanto i valori dell'avvocato quanto quelli che Amir eredita dalla madre di Yonatan, «che aveva disprezzo per la tradizione, per il militarismo, che detestava il nazionalismo, la religione, le radici, la ricerca delle radici, e frasi del genere: “Chi non ha passato non avrà futuro”. […] Non credeva nemmeno nell'identità, men che meno nella sua accezione locale nazionale. Sosteneva che l'uomo si dimostra intelligente solo quando riesce a disfarsi di ogni identità».   L'aspetto metaletterario sopraggiunge in aiuto del lettore, per una volta. È anzi parte integrante della ricerca di senso. In effetti, tutto è iniziato per colpa di un libro: una copia della Sonata a Kreutzer di Tolstoj che reca la firma dell'ex-proprietario Yonatan e in cui l'avvocato, intenzionato a fare un regalo alla moglie, trova un biglietto d'amore della consorte indirizzato a un ipotetico amante. Un libro che era solo uno dei tanti che Amir, al termine dei sette anni di iniziazione alla sua nuova vita, aveva deciso di vendere per dedicarsi alla fotografia.   Pensare che Amir, all'inizio, vedeva dietro l'obiettivo solo uno sfocato mondo morto. Ma diventerà un artista stimato: ritrarrà volti intensi che recano inscritta tutta la loro vita e la storia di cui quella vita è intrisa grazie al distacco concesso dalla fotocamera. Come Yonatan, che in una sua foto «teneva in mano il cavo con il pulsante che serve per azionare la macchina a distanza. Il cavo, pensai, non è nella foto per caso: sapeva bene quello che voleva metterci dentro e quando». Come l'autore, che non a caso rende Amir una voce narrante, mentre sceglie la terza persona per raccontare l'avvocato; un autore che, come Amir e Yonatan, ci parla di un mondo dalla storia stratificata e sofferta attraverso i personaggi che dal grembo di quel mondo sono stati nutriti.   Come dovrebbe fare il lettore di Due in uno: ignaro di ciò che lo aspetta, gradatamente si accorge che, se vuole vedere, deve mettere a fuoco il suo obiettivo. Solo così, leggendo con lucidità, potrà rendersi conto dell'intrico in cui Kashua lo ha coinvolto. Dopo essersi immerso in vite complicate e contraddittorie, potrà allora accedere a una prima comprensione in forza della distanza raggiunta. E potrà iniziare a porsi le prime domande. Chi è Yonatan? Chi sono i “due” e chi è l'“uno”?
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/due-in-uno-di-sayed-kashua)

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