Ho visto di recente HER e mi sono presa malissimo. Perché mi ha obbligato a tutta una serie di riflessioni sull’incursione della tennologia nei nostri legami. A tal proposito leggete questa bellissima recensione/riflessione su Rapporto Confidenziale.
Tutto il film si basa su dialoghi: la lettura della sceneggiatura, o anche una sua scorsa veloce, evidenzia in maniera inequivocabile che ci troviamo di fronte a un lungometraggio di finzione integralmente costruito su dialoghi, specificatamente discorsi amorosi. Dunque il testo di Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso (1977), fornisce un interessante piano di osservazione dell’opera in questione, perché permette di soffermarsi sulla preponderanza della discorsività nel testo Her. Che sia possibile innamorarsi di un’intelligenza artificiale, priva di corpo, è questione sin troppo semplice da afferrare nella sua bizzarria (la spersonalizzazione dell’oggetto amato, amare per il piacere dell’amore e via discorrendo), così come riflettere sull’invasività tecnologica e la progressiva alienazione da essa prodotta (l’interconnessione ci rende tutti più intimamente distanti, così vicini e così lontani Alone Together…).
Settimana scorsa sono stata alla presentazione dell’ultimo libro di ZeroCalcare (ne approfitto per dire che ha usato una canzone dei Kalashnikov per il suo booktrailer. Bella lì! <3) ed un non-giovane gli ha chiesto un commento sul passaggio da “centri sociali a social network nelle relazioni” e lui ha risposto -tra le altre cose- scherzando anche sul fatto che ha avuto il suo primo cellulare a 18 anni e che se non fosse per gli sms, probabilmente non avrebbe mai avuto una ragazza. Pure io ho avuto il mio primo cellulare a 18 anni e pure io, senza sms-myspace-facebook e whatsapp non avrei mai battuto chiodo. Senza quello e senza alcol.
Tramite questa mirabolante pratica della messaggistica istantanea – che è sempre lì in saccoccia tra doppie spunte, emoticons, selfie, sexting e attese – si possono costruire castelli emotivi e sentimentali che ci danno l’illusione di essere costantemente al fianco di qualcuno, anche se ci separano centinaia di chilometri. O che non esiste proprio in quanto idealizzato.
Come il protagonista di HER che vive la sua vita e mostra la sua vita al sistema operativo di nome Samantha. La prima riflessione che ne è emersa è che abbiamo bisogno di un cazzo di pubblico per “legittimare” la nostra esistenza. La necessità di raccontarci e quindi di “essere”. Come quella cavolo di trottola di Sartre che legittima la letteratura. Scriviamo per essere letti. Viviamo per raccontare. Raccontiamo per avere testimoni. E ora la finisco con questo pippone ultra serio per parlare dei panini vegan che ho fatto per andare al Corteo No Tav a Torino.
Che diamine di connessione c’è tra i panini vegan e l’amore tennologico? C’è che dopo un anno e mezzo di singletudine ancora non ho voglia di farmi da mangiare per me, ma ADORO cucinare per gli altri. Ed ogni occasione è buona per farlo. Ed è un po’ come quando si mangia da soli e si fotografa ciò che mangiamo, per dare un senso di convivialità alla situazione.
Del mio rapporto con le quantità ne ho già parlato in passato. C’è che o non cucino o cucino per mille e mi sale un’ansia atavica e chioccia-terrona (nonostante il pallore, il sangue è quello) che mi obbliga a cucinare sempre troppo. Un esempio pratico? Per quattro persone ho fatto dodici panini – solo perché gli altri ne avevano già fatti quattro, altrimenti sarebbero stati ventiquattro. Senza contare tutto ciò che è avanzato di ciò che doveva esserne la farcitura. Ma procediamo alle ricette.
PANINO N° 1 – Ma ho qualcosa tra i denti?
Oh, sono ad un concerto fighissimo – videino schifoso e distorto.
Sono a cena con amici. Belle chiacchiere e vino – foto con gli amici (dopo averne scartate dodici tra doppi menti ed espressioni dementi).
Che noia, sono in coda alle poste e ci sono i vecchi bavosi e razzisti – selfie con smorfietta buffa e ottantacinque filtri e con il contrasto a palla per nascondere i peli del naso, le occhiaie e i punti neri.
Il fatto è che la realtà è altro. La realtà è fatta di aliti fetidi dovuti alle sigarette e alla birraccia di merda. Di cene in cui si ravana con la lingua per ore tra i denti per liberarci di pezzi di rucola e prezzemolo. Ecco perché ho deciso di fare un panino con la rucola e la salsa verde… per obbligarci tutti a ricordarvi che gli affetti reali sono fatti anche di momenti imbarazzanti. Di rucola tra i denti e rossori che nessun autoscatto può documentare. Diventare rossi è bellissimo.
Ingredienti:
- pane (ma dai?)
- tofu marinato (e per la marinatura – salsa shoyu, vino, aceto, alloro, scalogno)
- salsa verde (prezzemolo, pane secco, aceto, aglio, capperi)
- zucchine grigliate
- rucola.
Per la preparazione del tofu dovete fare una roba importantissima. Tagliatelo a fettine e asciugatelo con tutta la cura che non sapete darvi. Friggere il tofu è un casino. Peggio delle relazioni umane. Se è umidiccio schizza come uno scemo schizzato. Asciugate bene bene, infarinatelo con farina di ceci e quindi friggete. Nel frattempo preparate la marinatura. Affettate lo scalogno. Deve essere finissimo. Lo scalogno, la cipolla e i suoi parenti sono subdoli e cattivi. Vanno tagliati bene che se no mi fate sbroccare. E questa è una mia nevrosi con cui, tutti coloro i quali mi conoscono per davvero, devono scendere a patti. La cipolla la taglio io. Punto. Un’altra volta vi racconto del divieto assoluto di buttare fazzoletti e/o tovaglioli nei piatti vuoti. Un’altra volta…
Una volta affettato lo scalogno stufatelo con un po’ di acqua, aggiungete poi 1/2 tazzina di salsa shoyu, 1/2 tazzina di aceto, 1/2 tazzina di vino e alloro. Sarebbe meglio il vino bianco, ma lo avevo finito. Fate andare ancora un po’ e ricoprite il tofu fritto. Impacchettate tutto con pellicola trasparente e lasciate riposare almeno un paio di ore. Anche se una notte intera sarebbe l’ideale.
Nel frattempo grigliate le zucchine e procedete alla preparazione della salsa verde. Procuratevi del prezzemolo fresco, lavatelo e asciugatelo. Mettete del pane vecchio a mollo in poca acqua e aceto e fate una poltiglia. Frullate pane e foglie di prezzemolo insieme ad olio, capperi ed uno spicchio di aglio.
Giunse il tempo di assemblare il panino che vi riporterà i piedi per terra e a colpi di prezzemolo tra i denti vi imporrà una riflessione su cosa è vero ed autentico nei rapporti che avete messo in piedi nell’era dei social network. Salsa verde, zucchine grigliate, tofu in carpione e rucola per il panino veg “Ho qualcosa tra i denti?”
PANINO N°2 – “Diventare rossi è bellissimo”
Ingredienti:
- pane
- peperoni
- senape
- tofu affumicato (+ salsa barbecue)
- olive nere
- lattughino
Dicono che mi danno una mano.
Diventare rossi è bellissimo, dicevo. Ci si può innamorare a prima vista di un uomo soltanto perché in grado di diventare rosso come un peperone, per l’imbarazzo et l’umiltà. Sì, si può. Perché è così. Passi la vita a cercare vichinghi forti e impavidi in grado di tenerti testa, capaci di non sentirsi in soggezione per quello che alcuni tuoi amici definiscono con garbo, “il tuo caratteraccio di merda”, abbastanza intelligenti e sicuri di sé da non temere il tuo bisogno di spazi e libertà e poi arriva un Woody Allen tanto nevrotico quanto te, con le fisse e le psicosi, capace di imbarazzarsi in questo mondo dominato dal cinismo e non capisci più niente. La storia finisce comunque male. Perché il tuo caratteraccio di merda ti impedirà di, citando Eve Ensler, “credere nei baci e lottare per la tenerezza”. Perché alla fine è più bello cullarsi negli artifici tennologici di legami filtrati dalla messaggistica istantanea, piuttosto che andare ad un primo appuntamento col rischio di parlare per ore senza sapere che hai del prezzemolo tra i denti. E quindi stai a casa e fai panini coi gattini.
Grigliate fino a sbruciacchiarli i peperoni interi. Infilateli in un sacchetto di plastica e fateli “sudare”. Una volta che saranno zuppi di condensa, la pelle andrà via come l’illusione di un happy end, dopo un colpo di fulmine. Nel frattempo fate macerare nella salsa barbecue ed un pochetto di olio, le fettine di tofu affumicato. Poi grigliatele.
Procedete all’assemblaggio del panino che vi farà per un momento desiderare baci, tenerezza e tenere effusioni scevre da barriere, maschere e difese emotive. Senape, peperoni grigliati e spellati, tofu affumicato alla piastra, olive nere e lattughino.
La morale della favola? Quei panini sono stati mangiati sotto una tettoia di un autogrill, in un gelido giorno di febbraio in compagnia di alcuni amici, di fianco ad una macchinetta che, in cambio di un euro, mi chiedeva di verificare il mio stato sessuale con una scala che andava da ghiacciolo a insaziabile. E il cerchio si chiude: panini veg, tennologia e amore. Non potevo desiderare altro.