Dumaguete City, nelle Filippine. Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran, con la quattordicesima puntata.
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di Giorgio Càeran
Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)
(parte di un viaggio iniziato il 18 luglio 1992 e finito il 23 agosto 1992)
![DUMAGUETE CITY, FILIPPINE IN VIAGGIO CON LA VESPA 14 Damaguete City DUMAGUETE CITY, FILIPPINE IN VIAGGIO CON LA VESPA 14](http://m2.paperblog.com/i/196/1961525/dumaguete-city-filippine-in-viaggio-con-la-ve-L-f96Wh6.jpeg)
Risciò a Dumaguete City (da Wikipedia)
Dopo la giornata assolata di ieri, oggi, mercoledì 5 agosto 1992, il cielo è nuvoloso e poco ben disposto. Mia moglie e io vorremmo tuttavia andare a vedere i laghi gemelli di Balinsasayaw e Danao, lontani trenta chilometri da Dumaguete City (già sull’isola filippina di Negros). Il problema è come arrivarci, dato che non c’è alcun veicolo che vada in quella direzione. Gli autisti delle jeepneys chiedono 450/550 pesos per portarci. Stiamo per rinunciare, quando due conduttori di tricicli motorizzati (che in pratica sono dei sidecar in stile risciò) si offrono di accompagnarci. Stipuliamo l’accordo per 250 pesos, dandone subito 100 come acconto.
Marika e io stiamo su un triciclo, mentre l’altro veicolo ci segue senza passeggeri a bordo. Ci avviamo sulla strada che porta all’aeroporto, poi ci fermiamo presso una diocesi nella quale le rispettive carrozzelle, fantasiosamente variopinte, sono distaccate dalle proprie motociclette. Adesso i sidecar si trasformano in due normali motociclette, entrambe da 125 cc: un’Honda e una Suzuki. Marika sale sull’Honda e io sulla Suzuki. Dei due motociclisti, l’unico che ispira fiducia è quello della Honda, mentre l’altro, sulla cui moto ci sono io, mi lascia molto perplesso. Già alla partenza, noi della Suzuki rischiamo di cadere: il buongiorno si vede di mattino. Oltretutto, come mezzo la Honda è a posto, la Suzuki, invece, non dispone dei pedali-poggiapiedi e io non so proprio dove tenere ferme le gambe. Si prosegue ancora un po’ sulla strada asfaltata, dopodiché si devia a sinistra verso uno sterrato.
Il traffico sparisce completamente e si sale su impegnative salite, con la strada che diventa sempre più difficile da percorrere. Il mio motociclista è molto imbranato e insicuro, e in diverse occasioni rischiamo nuovamente di cadere. A un certo punto si rischia di fare una caduta assai pericolosa, e io salto giù al volo dalla motocicletta, che poi riesco a fermare prima che il veicolo possa cadere sul corpo del guidatore. La moto s’ingolfa e il filippino che fa? Vuole smontare il motore, non riuscendo a capire perché non riparta! Incredulo, gli ordino di smontare la candela per poi asciugarla bene e pulirla. Lui obbedisce e, “miracolo”, la motocicletta adesso si avvia prontamente, proprio quando la Honda torna indietro a cercarci. Marika mi corre incontro abbracciandomi con sollievo, essendosi assai preoccupata nel non vederci più passare. Si sta pensando di rinunciare ad andare ai laghi a causa dell’incapacità, da parte del mio motociclista, di guidare su questi tracciati tipici delle gare di “regolarità”. Ci è detto che mancano ancora quattro o cinque chilometri alla meta e quindi ritentiamo, anche se non del tutto convinti.
Appena un chilometro dopo, la mia Suzuki rischia l’ennesima caduta, di quelle mozzafiato, e io me la vedo veramente brutta. A questo punto, nonostante, a quanto pare, siamo a soli tre chilometri dai laghi gemelli, diciamo: “basta, non vogliamo lasciarci la pelle così stupidamente!” Abbiamo sprecato 100 pesos senza riuscire a vedere i laghi Balinsarayaw e Danao, ma in ogni modo decidiamo di tornare indietro a piedi, anche se la strada è lunga. Il cielo è sempre più nero e minaccia di piovere da un momento all’altro, ma Marika e io marciamo di buona lena. Vediamo contadini, uomini e donne, che lavorano nei campi o in forti pendenze del suolo. C’è tanta vegetazione, con palme di cocco, banani, fiori e altro.
Tra bufali, vacche, maiali neri, capre e galline, arriviamo a un villaggio composto da capanne dignitose, qualche casa e una scuola. I bambini della scuola accorrono festanti, schiamazzando: non hanno la divisa scolastica come i loro coetanei di città, e gli abiti che indossano non sono lindi e ben tenuti come gli altri. Però questi pargoli sono più disponibili e più semplici al confronto di quelli di città; sono anche più sorridenti e simpatici, pur meno smaliziati.
Dopo la festosa accoglienza dei bambini, continuiamo ancora il lungo cammino. Il tratto più bello dell’intero percorso per me è quando l’angusto sterrato, diventato un sentiero dove si può camminare solamente in fila indiana, ha ai propri lati due ripidi fondovalle dalla folta vegetazione, uno dei quali mostra il mare in lontananza.
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da Wikipedia
Ci fermiamo poi da un vecchietto arzillo intento a tagliare alcuni banani ai bordi della strada: gli chiediamo se ci dà da bere un paio di noci di cocco. L’ometto ci fa cenno di seguirlo fino ai piedi di una palma, poi con un machete fa due scanalature alla pianta per salirci sopra con un’agilità insospettabile… tenendo conto dei suoi anni. Costui potrebbe avere l’età dei nostri genitori, ma mai potrei immaginare di vedere mia madre o il padre di Marika arrampicarsi velocemente su una pianta, come un ragazzino! Il vecchietto nativo del luogo, invece, sale in fretta sulla palma per poi gettare a terra tre noci di cocco, e quindi ce le apre, dandocele infine da bere. Gli chiediamo quanto gli dobbiamo: lui ci dice tre pesos in totale, ma noi gliene diamo cinque, sia per la sua simpatia sia perché se li merita.
La camminata dura parecchio, sotto la minaccia incombente della pioggia, però è senz’altro bella e ricca d’emozioni. Tali emozioni ho già avuto modo di viverle altre volte in parecchie parti del mondo; per Marika invece è la prima volta, e certamente quest’esperienza, pur se faticosa, se la ricorderà per tutta la vita.
La vista dell’accattivante panorama ci dà tanto entusiasmo, ed è gratificante assaporarlo con calma, passo dopo passo, lungo lo sterrato che percorriamo. Dopo tre ore di camminata, scendiamo sulla strada nazionale, che è asfaltata. Un furgoncino con due filippini a bordo si ferma, offrendoci gratuitamente (cosa eccezionale in questo Paese) un passaggio fino a Dumaguete City.
Marika e io stiamo nel cassone aperto, che sta dietro la cabina di guida, rientrando quindi in città, pronti a respirare di nuovo tantissimo smog, sprigionato dai tubi di scarico dei veicoli (soprattutto dei tricicli motorizzati).
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