Chi osserva il panorama del piccolo schermo di questi ultimi anni, ha sicuramente notato che lo sceneggiato televisivo ha riportato in auge un genere molto diffuso nel cinema italiano degli anni ’40-’50: le vite dei santi. Il che non sarebbe per nulla negativo, al contrario. La parola santo racchiude un arcobaleno di significati fatti apposta per insinuarsi negli anfratti più bui dell’interiorità dell’uomo, senza contare i punti interrogativi che questa parola suscita, illuminanti per il credente, sconcertanti per il non credente. Tutto sta, però, quando si tratta di passare dalle considerazioni alla pellicola, nel saper rendere questa ricchezza in modo che lo spettatore si senta punto nel vivo e interrogato; e invece, spesso, si ha a che fare non con santi ma con santini. Certo, esistono delle eccezioni, come il recente Sant’Agostino, in cui Alessandro Preziosi e Franco Nero sono riusciti insieme a tratteggiare le due facce di un Agostino di Ippona in carne ed ossa, umano e modernissimo nella sua tormentata ricerca della verità. Il problema è: come rendere la vita di un santo senza scadere in una melassa che era accettabile ai tempi di Marcellino Pane e Vino, ma che oggi può risultare per lo meno noiosa?
Forse una strada la può indicare un film girato per il grande schermo, ma abbastanza “di nicchia”: Duns Scoto, prodotto tutto italiano, che si è visto assegnare il pesce d’argento per miglior film e miglior attore protagonista all’edizione 2011 dell’International Catholic Film Festival “Mirabile Dictu”.
L’iniziativa, e la produzione, è dei Frati Francescani dell’Immacolata, per far conoscere meglio una figura poco nota dell’Ordine, al di fuori degli addetti ai lavori: il beato Giovanni Duns Scoto, sacerdote francescano vissuto a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, grande filosofo, tanto da essere soprannominato ”dottore sottile”, il teologo che, con le sue teorie, diede nuova credibilità alla tesi dell’Immacolata Concezione, che sarebbe divenuta un dogma solo con Pio IX nel 1854. Se Maria fosse nata con o senza il peccato originale era il tema più dibattuto del suo tempo, specialmente in quello che era considerato il non plus ultra degli studi di teologia: l’Università di Parigi. Duns Scoto divenne il portabandiera del partito favorevole alla tesi secondo cui Maria sarebbe nata già redenta dal peccato originale, e la sostenne in pubblico dibattito all’Università di Parigi contro i teologi domenicani nel 1307, uscendone vincitore.
Immacolata Concezione, certo: ma la posta in gioco è ben altro. Uno dei pregi principali di questo film è di mettere bene in chiaro che non si tratta di una sterile “discussione sul sesso degli angeli”: la posizione di Duns Scoto implica un atteggiamento di fiducia in Dio e nella natura umana, una serena positività che chi ha avuto modo di conoscere la spiritualità francescana riconoscerà sicuramente. Lo si comprende in modo particolare nei dialoghi tra Duns Scoto, e il suo allievo Guglielmo, il futuro Guglielmo di Ockham, il padre della filosofia dell’Età Moderna: ai tormenti dell’allievo, su cui incombe l’immagine di un Dio capriccioso cui basta ordinarlo perché il bene diventi male e viceversa, il maestro contrappone una semplice frase, “Tu studi troppo, ma preghi poco”. Un invito a guardare oltre la stessa filosofia, oltre l’avvitarsi dell’animo su se stesso, per aprirsi alla relazione a quello stesso Infinito oggetto della contemplazione filosofica, una relazione a due, una relazione fatta non solo di testa ma anche di cuore. Cuore che Duns Scoto mette in tutto, nello spiegare complicati sillogismi agli studenti di Parigi come nel raccontare il bambino che è stato a un frate adolescente che a malapena sa leggere.
Certo, alcune concessioni al melense si trovano, come la storiella del seminarista insicuro della sua vocazione rapito da un colpo di fulmine per una bella e pia orfanella (il cui nome è, guardacaso, Maria), o come i quadretti viventi di storia sacra che appaiono di tanto in tanto e che vorrebbero indicare il frutto della contemplazione di Duns Scoto; ma nel complesso rimane un esperimento riuscito. Soprattutto, i complimenti vanno al protagonista Adriano Braidotti, riuscito in un’impresa disperata: far vibrare le parole che gli studenti di liceo, di solito, leggono sui libri di filosofia annoiandosi a morte, trasformarle in parole capaci di far emozionare.
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