Note lente, proprio per questo incredibilmente dense.
Vestiti scuri e vellutati avvolgono il corpo di due figure che non temono di trasgredire nessuna formalità attraverso la loro esistenza.
Una voce di donna malinconica viene intonata su quelle stesse note che, con il loro ritmo costante, continuano a disperdersi nell’ambiente circostante.
Si tratta della “zamba” argentina. Parliamo di una delle danze tradizionali di uno stato ricco di realtà povere, ma dove le tradizioni popolari osannano l’autenticità come forma superiore di bellezza.
Comincia un gioco di volteggi, di drappi e di tangibile sensualità. Passi striscianti e sinuosi sono accompagnati da fazzoletti (i cosiddetti “pañuelos”) che si intrecciano con vibrante energia, per poi abbandonarsi come teneri amanti.
La scena descrive una delle tante storie d’amore dell’Argentina del lontano 1850 dove il buon costume locale voleva donne sottomesse e schive nei confronti del sesso maschile.
La musica assume toni più forti ma resta solo di contorno mentre gli sguardi tra i due protagonisti sono sempre più sostenuti. Traccia palpabile di un incontro tra anime attratte l’una dall’altra che trascinano nel connubio i rispettivi corpi fisici solo successivamente.
Ciascuno dei due tiene in mano la parte più estrema di una corda che, senza fretta, verrà arrotolata per ridurre la distanza di quel silenzio carico di aspettative.
Quella emozione si estende delicatamente invadendo tutto lo spazio. Ogni altra forma di comunicazione è preclusa.
Sarebbe codardo razionalizzare due figure che hanno avuto l’umiltà di mettere a nudo il proprio animo, senza riserve e senza nessuna paura di strappar via le inutili maschere che quotidianamente indossiamo.
All’osservatore non resta che applaudire al trionfo dell’istinto sulla ragione.