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E’ arrivata la prova costume. Che ansia!

Da Quipsicologia @Quipsicologia

“Le cose migliori e più belle nel mondo

non possono essere viste né toccate…

ma sono sentite col cuore”.

Helen Keller

E’ finalmente arrivato il caldo e con esso il desiderio di cambiare i nostri abiti invernali per quelli freschi e leggeri della bella stagione. Si apre anche la stagione balneare. Vogliamo vederci in forma, per cui siamo pronti ad affrontare qualsiasi sacrificio pur di apparire alla fatidica “prova costume” in perfetta forma, come ogni anno. Che ansia! Poi, a settembre, una volta finita l’estate, ci si lascia un po’ andare, tornando a godersi la vita! Ma come mai viviamo questa altalena?

Modelli imposti

prova costumeIn questo periodo è consuetudine il rincorrersi di servizi e rubriche sulla oramai prossima e fatidica “prova costume”. Dalle riviste patinate ai blog, è un fiorire di diete e ricette miracolose, al pari di quella che fornivano Pozzetto e Verdone nel film comico “7 chili in 7 giorni”. Ce n’è per tutti i gusti: tisane depurative e brucia grassi, creme rassodanti e anticellulite, liposuzioni, per non parlare poi degli interventi “taglia e cuci” che ci promettono di diventare ciò che non siamo.
In televisione poi, capita sempre più spesso di imbattersi in format televisivi incentrati sulla non accettazione di sé, che grazie a “fashion coach” e esperti in “bellezza stereotipata” forniscono consigli e propongono strade per il cambiamento e per rendersi più accettabili. Ma accettabili agli occhi di chi?

Il sacrificio del corpo

Ci adattiamo a stereotipi dettati da altri su come il nostro corpo deve essere, deve apparire e deve rivelarsi, ben lungi da come noi lo viviamo e lo abitiamo veramente e profondamente. Trattiamo il nostro corpo al pari di un abito, di un oggetto da allargare o restringere a nostro piacimento. Lo sacrifichiamo. Ma è davvero per piacere a noi stessi? Con quali occhi ci guardiamo, ci giudichiamo? Con i nostri o con quelli di chi ci sta intorno?
Partiamo da cosa significa veramente sacrificio. Vediamo il sacrificio come il privarci delle cose che ci piacciono, come il decidere di eliminare gli zuccheri o i carboidrati dalla nostra dieta quotidiana. Quindi colleghiamo il sacrificio alle privazioni, alle rinunce e alle mortificazioni. Ma, in origine, il vero sacrificio è il compimento di un’azione sacra che, in quanto tale, celebra il sacro, celebra ciò che importa, celebra il valore che dà un senso a noi stessi e alla vita e non va trascurato, specie nella minutezza della quotidianità. Questo vuol dire cambiare prospettiva e rivolgersi a noi stessi con la stessa cura e lo stesso amore con cui ci rivolgiamo all’esterno. Incominciando a dare valore e importanza a quello che siamo, anche con le nostre imperfezioni.

“Staccandone i petali non raccogli la bellezza di un fiore”.
Rabindranath Tagore

Vivere ciò che siamo

Se provassimo a porre la nostra attenzione sul vivere al meglio ciò che siamo? Questo non vuol dire che non ci si possa migliorare o prendersi cura di alcune nostre “brutture”. Altro invece è il volersi stravolgere a tutti i costi seguendo le mode del momento e diventare diversi da ciò che siamo.
Rimango piacevolmente colpita da quelle donne che sempre più spesso si mostrano con le loro rotondità lasciando emergere orgoglio e amore verso ciò che sono. A questo proposito mi vengono in mente alcune campagne pubblicitarie che rompono gli schemi dai canoni condivisi sulla magrezza e sulla bellezza di una donna. Questo ci dimostra che un altro modo di vivere è possibile, che la bellezza non passa solamente per le privazioni e la sofferenza, ma in primo luogo per l’amore verso se stesse.

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