In casa è riapparso il Grande Albero (non quello micragnoso un metro e una mela che l’anno scorso ci avete costretti a permutare con uno “alto alto fino al tetto”). Sono riemerse le candele rosse, gli angioletti, le stelle di Natale e gli addobbi davanti alla porta d’ingresso.
Per voi ho già comprato tutti i generi di regali che mi venivano in mente, anche se poi all’asilo mi hanno consegnato la lettera che avete voluto scrivere - non proprio di vostro pugno ma insomma, si, quella che avete dettato, a quanto pare. E ho scoperto che l’unico desiderio che avevate era di ricevere una cucina. La cucina non mi era venuta in mente, anche perché non contavo di spendere cento-errotti-euro per un solo regalo. Ma avevate a quanto pare solo questo desiderio e Babbo Natale se n’è fregato. Ormai è andata. La cucina me la sono segnata per la prossima occasione, quella in cui chiederete dei monopattini e mi farete sbagliare un’altra volta.
E’ arrivata anche la vigilia della festa di Natale a scuola. Le mamme dell’asilo erano tutte emozionate, commosse. In chat (la chat nata per decidere cosa regalare alle maestre) scommettevano su chi avrebbe pianto per prima. Io pensavo boh, sono una mamma degenere. Piangere, che assurdità. Per così poco. Per quattro canti e una scenetta di 2 minuti. Che sarà mai. Ma la gente davvero non ha altro da fare, altro a cui pensare?
Poi quella sera mentre cambiavo Lorenzo lo sento che comincia a cantare. Prima piano piano, sottovoce, poi sempre più ad alta voce.
Una canzone mai sentita. Accompagnata da una mimica plateale.
Mi chiedo: ma quando l’hai imparata? La sai tutta amore mio! La canti e la mimi così bene! Chi te l’ha insegnata? E io dov’ero mentre tu imparavi queste cose? Ho capito: genio! Ma certo! Sarà una parte della recita di domani! Una canzone così dolce… Comincio ad associare tutte le poche informazioni che erano filtrate su questa recita. Loro che avrebbero fatto i pastorelli. I bambini più piccoli della classe che si sarebbero travestiti da angioletti. E mi commuovo: comincio a piangere. Non mi era mai successo. A quel punto arriva il Papi con Tommi che si accoda e canta anche lui, raggiante di gioia. Anche lui la sa tutta, canta e mima, e intona i cori con grande passione. E anche il Papi, non lo ammetterà mai, ma vi giuro che aveva i lucciconi. Perché sono diventati grandi. Sento un moto di orgoglio per i miei nanetti.
Poco importa che l’indomani alla festa mi hanno riconsegnato il Nano Biondo come un pacco regalo: “Signora, ci dispiace, si rifiuta di farsi vestire, non vuole partecipare”. Niente recita per lui. Ci avrei scommesso. Figuriamoci, fare quello che fanno tutti. Lui? Il Nano Bruno invece entra in scena rigido come un bastone, con le braccia tese, i pugnetti chiusi, la testa rivolta verso il pavimento e solo gli occhi rivolti verso la stanza che si muovono per cercarmi nella folla. Appena incontrano i miei, lui scuote la testa per comunicarmi che no, lui non canta. Sta lì, per non dare un dispiacere a nessuno, va bene, ma non vuole fare nulla. Neanche lui vuole partecipare. OK, amore. Con gli occhi lo accarezzo e gli faccio capire che va bene, che va tutto bene. Che è bellissimo anche così, muto come un pesce, fermo come un albero ben piantato per terra. Che sono orgogliosa di quello che sta facendo.
Le maestre mi hanno detto poi che durante le prove erano bravissimi. Erano dispiaciute per me. Ma non sanno quanto poco importi: io ho già avuto il mio spettacolo personale, la sera precedente. Loro non sanno che ho assistito alla Prima più bella della mia vita. Non lo sanno che ho visto uno spettacolo che non scorderò mai.