Al lavoro!
Non fischiettiamo impassibili. Avremmo voluto farlo tutti. Vuoi mettere un cazzotto in faccia a Daniele Capezzone? La soddisfazione di scompigliargli quell’aria di sufficienza coatta che ha stampato in volto? Vuoi mettere a farlo tacere? Capezzone è uno che se le tira e qualcuno non se l’è tenuto. In un’ipotetica classe, sarebbe il folklorisrico ma immancabile sfigato occhialuto: aria saccente, altezzoso, e troppa voglia di parlare. Per sé e, soprattutto, per gli altri. Capezzone è l’attore non protagonista, il perfetto zelante da “lo dico alla professoressa”. Prestato indebitamente alla politica, Daniele-faccia-da-castagnone, è più Daitan che l’Uomo Tigre. Nel senso che ha rinunciato volontariamente ad accettare il male come un mezzo di perseguimento della causa onorevole; piuttosto, di onorevole, Al Cap(ezz)one ama lo stipendio, la fama, la ridondanza mediatica, l’eco dei flash nelle stanze chiuse da conferenze stampa. E, come un robot giapponese perde e riprende pezzi, sfoggia parole di inzuccheramento di massa. Si adegua all’avversario ma, soprattutto, al suo comandante in capo, l’esimio Mr. Silviomery Burnesconi…
Il primo pugno preso da Capezzone
È un tipo da scompisciarsi dal ridere, Capezzone. Come un bimbo pacioccone, lo metti nel seggiolone e nel seggiolone rimane. Fin tanto che, qualcuno, non gliene regali uno nuovo. Prima il cuscinone radicale sotto il culetto delicato di inesperto della comunicazione (ma sempre con lo sguardo fisso alla telecamera, più convinto di Tom Cruise, più deciso di Brad Pitt, più glaciale di Clint Eastwood), a spendere e spandere minuti e comparse, gentilmente sponsorizzato dalla spalla clownistica Chiambretti, in televisione. Una vita catodica. Pendolare sì. Mai sulle reti ferroviarie, ma sempre su quelle televisive. Con indifferenza di preferenze, Rai, Mediaset, La 7. Sempre e solo lui. Con Marco Pannella in cabina di regia ed Emma Bonino alla scenografia, il giovanotto frigido è stato costretto a crearsi una sua personalità, a ritagliarsi un suo spazio. Che poi, stranamente, il ritratto venuto fuori è “nessuna personalità e nessuno spazio proprio”, poco importa. Resta la gioia disonorevole ma remunerativa di brillare della luce degli altri, di dar voce a quello che gli altri vogliono che tu dica, con sintagmi che non sono nemmeno i tuoi.
Un po’ Pietro, un po’ Giuda, l’apostolo Capezzone. Il favorito di tutti, il coccolato, il delfino le cui molteplici boiate erano catalogate alla stregua di peccati di gioventù. Normali e forse anche pedagogici. In fondo soltanto chi non fa nulla non sbaglia mai. Qualche dubbio iniziò a venire al suo Messia benedicente allorchè si rese conto che lo sbarbatello non solo sbagliava spesso, ma aveva la capacità di farlo pur nella sua immobilità. E, in un infuocata Direzione radicale, glielo rinfacciò con la storica frase, da manifesto: “Ma ti credi davvero di essere un grande stratega mentre gli altri sono tutti stronzi?” Fu l’epigrafe dell’appartenenza di Capezzone alla Rosa nel Pugno.
Poi, il salto a destra, a fare il buffone del marajà Silvio Berlusconi. Alla corte dei miracoli non mancava che lui. Una riconversione rapida, un mascheramento senza neppure cambiare la maschera, un trasformismo negli stessi vestiti, e Waylon-Dany-Smithers, oplà, ce lo siamo trovato dall’altra parte. Una folata di vento e la bandierina è finita dritta dritta nel campo nemico, sciuscià del potere più potente, al sicuro da nuovi ostracismi. Già, perché si è scelto il padrone giusto, il fido Capezzone. A Silvietto piacciono i viscidi, gli esecutori degli ordini, le bocche senza il filtro del cervello, gli SSS. Cioè, gli Scipiti Soldati Semplici. Don Silvio, si sa, è un padre buono. Uno che perdona che gli errori di gioventù. Chi, in fondo, non ne ha fatti? E poi proprio lui che è il campione dell’umanità, della giustificazione della debolezza della carne di fronte ad altra carne, al luccicare goloso del denaro, al desiderio sbavato di fama. E al cavaliere, è storia risaputa, piacciono da morire anche le puttane. Non a caso, Capezzone è una mignotta impenitente, una di quelle che si vende per il gusto divendersi; una zoccola impudica e di basso bordo. Una lucciola da statale e fuoco acceso nel barile in ferro, una prostituta da roulotte. Non carne di lusso, ma in scatola. Non una escort, nè una geysha. Danieluccio è una di quelle battone che tutti, menager pervertiti e vecchi imbottiti di viagra, possono permettersi. E’ da Via del Campo, mica da Hilton…
Perciò, nessun peso a chi abbia detto cosa e di chi. Meglio pensare di cosa dire in futuro su cosa. Meglio, non dire… Ma la memoria “fa un lungo giro e poi ritorna”. Come gli amori di Venditti. Ed allora, eccola qua una sequela di scatti del vecchio Daniele. Argomento: il nemico psico nano.
LE LEGGI TALEBANE. “Il primo ministro Berlusconi si è sdraiato per due ore sulla prima rete televisiva, riversando sugli spettatori la sua soddisfazione per trionfi, miracoli, successi che nessuno, ormai, scorge da nessuna parte, a parte i tenerissimi Emilio Fede e Sandro Bondi […] Ciascuno può vedere a che punto siamo dopo due anni e mezzo nei quali Berlusconi ha avuto una maggioranza di 100 deputati alla Camera e di 50 senatori a Palazzo Madama: nulla di quanto fu promesso allora si vede oggi, e, per sovrammercato, sono state varate (o sono in via di perfezionamento) leggi letteralmente talebane”29 maggio 2004
DITTATORUNCOLO SUDAMERICANO. “Berlusconi si sta piuttosto orientando verso il modello sudamericano”.
12 dicembre 2004
DON LURIO. “Ho sentito che Silvio Berlusconi si è paragonato a don Luigi Sturzo, ma a me sembra che sia più l’erede di Don Lurio
8 dicembre 2005
LA PAR CONDICIO. PER GLI ALTRI. “Leggo che Silvio Berlusconi torna a dire che dovrebbe essere tolto ogni spazio politico in tv, in campagna elettorale, ad un soggetto politico nuovo che dovesse presentarsi con un simbolo nuovo. Trasecolo. Se infatti questo criterio berlusconiano fosse stato adottato nel 1994, un partito nuovo come Forza Italia (destinato a divenire, alla sua prima presentazione, partito di maggioranza relativa e perno della coalizione vincente) avrebbe avuto in tv zero ore, zero minuti, zero secondi. Se ciò fosse avvenuto ovviamente Berlusconi avrebbe gridato contro il complotto comunista o qualcosa del genere… La mia impressione è che Berlusconi ignori l’abc della democrazia politica: e regola elementare vuole che, almeno in quei quaranta giorni, almeno in campagna elettorale, tutti partano dalla stessa linea. Altrimenti molto semplicemente, la corsa è truccata”
15 gennaio 2006
BISCARDI. “Il primo processo a cui Berlusconi si è presentato spontaneamente è quello di Biscardi, poi si è fatto prendere la mano e non si è più fermato”
DO NASCIMIENTO. “Il Premier mi ricorda sempre di più l’indimenticabile Mago do Nascimento eroe di tante telepromozioni televisive. Lui sta, francamente, scendendo di livello: da venditore ambulante di tappeti mi pare divenuto un venditore ambulante di cravatte. E ormai, giorno dopo giorno, dà l’impressione di non ricordare più né le promesse né le bugie dette il giorno prima. Io, da militante radicale, sono in ogni caso fiero del dna liberale di Radio Radicale, dove parlano soprattutto gli avversari. Insomma, il contrario di quel che accade a Mediaset, per fare un esempio…”
11 febbraio 2006
MATTO. “Con la sobrietà e l’understatement che ormai abbiamo imparato a riconoscergli, Silvio Berlusconi si è ieri paragonato a Napoleone, e oggi a Winston Churchill (quest’ultimo paragone è stato poi rigorosamente fatto parlando di sé in terza persona, come era solito fare Giulio Cesare, e, in tempi più recenti, Diego Maradona…). Ormai, il premier mi ricorda la nota barzelletta dei due matti in manicomio, uno dei quali dice: “Io sono Mosè, sono sceso dal Monte Sinai, e Iddio mi ha dato le tavole della legge”. E l’altro matto, offesissimo, replica: “Ma guarda che io non ti ho dato niente!” Ecco il Premier potrebbe tranquillamente essere scritturato per il ruolo del secondo matto; resta da capire se la parte del primo (del novello Mosè) verrà affidata a Bondi, a Emilio Fede, o a chi altri…”
24 febbraio 2006
TOTò E PEPPINO. “Sto ascoltando l’esordio del discorso di Silvio Berlusconi al congresso Usa, pronunciato in lingua inglese, o almeno questa doveva essere l’intenzione… Torna alla mente, ascoltandolo in questa che appare per lui un’improba fatica, l’immortale scena di Totò e Peppino a Milano col colbacco, che si rivolgono al vigile dicendo: Noio voleva’n savuar…”
4 marzo 2006
IL PREMIER CANNATO. “Dopo l’ultima sortita di Berlusconi, che pensa bene di trattare da ‘coglioni’ la maggioranza degli italiani, mi sorge il dubbio che si sia fatto una canna. Ma forse una canna normale non avrebbe prodotto effetti simili: e allora che gli ha dato il pusher per fargli dire una cosa del genere? Comunque, stia attento: dopo la nuova legge del suo governo e dopo le tabelle rese note oggi, rischia grosso…”
5 aprile 2006