È appena uscito, all'indirizzo del sito LeggereLeggere un mio racconto lungo in formato elettronico. Senza svelare nulla di particolare, si tratta di un libro che racconta di una società che, per superare una crisi economica e sociale, decide di sopprimere benevolmente coloro che hanno più di 85 anni...
Presento qui il prologo:
Sì, avevo ammazzato mio padre. O meglio: l’avevo soppresso, come un animale; anzi, lo avevo abbattuto. Avevo fatto tutto da solo, come fosse un vecchio cane? Dopo quella tragica mattina, queste domande me le ripetevo in continuazione, e, ogni ora della mia giornata, ogni momento delle mie notti, erano pregni di queste parole d’accusa. Avevo ammazzato un uomo che amavo, che mi aveva fatto crescere, che mi era stato vicino. Un uomo ormai anziano, inoffensivo, mite, pieno di saggezza e di ricordi. Il senso di colpa per me era atroce, insopportabile. Pensai anche al suicidio, in quei giorni, mentre l’estate esplodeva sulla città e io cadevo nel buio assoluto del niente che nutre le rabbie peggiori, quelle che non hanno ragioni, né bersagli contro cui indirizzarsi.
Alla fine però non mi uccisi; c’erano già troppi cadaveri in città. Con il passare dei mesi, forse per trovare un modo per continuare a vivere, al rimorso per la morte di papà si sostituì, nella mia anima, l’idea, assolutoria, che non lo avevo ucciso da solo. Questa idea, sottile, lenì il mio dolore perché quasi subito si legò a un’altra idea, ossia alla consapevolezza per cui nessuno mi avrebbe mai condannato per quel parricidio. Nessuno mi avrebbe arrestato, né avrei visto poliziotti con la faccia severa perquisire il mio appartamento. Non sarei andato in carcere, disprezzato dai secondini e seviziato dai compagni di cella quale reo di un delitto infame. Nessun avvocato avrebbe dovuto difendermi, o chiedere una perizia mentale per evitare l’ergastolo….
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