e che guerra sia

Cioè, voglio dire, non è che c'era proprio bisogno di fare esplodere il cielo di lacrime per farmi capire bene bene che Berlino è acqua passata,
che quella sensazione frizzolina di libertà e azzardo possibile non farà più parte del mio quotidiano.
Non c'era bisogno di farmi indossare maglietta, felpa, k-way e stivali per farmi scordare prati urbani che sembravano di bosco.
Non c'era bisogno di questa tristezza grigia e umida per ricordarmi che quella era una parentesi, o un sogno concepito troppo tardi,
e che adesso devo mettere il culo sulla sedia e guardare dentro uno schermo, rispettare orari e scadenze, fingere passione o per lo meno interesse, e stare lì in attesa di ciò che aspetto da mesi e che mi consuma, una parola definitiva sul mio destino, su dove sarò, quanto ci starò e di che tipo saranno le porte a cui dovrò bussare.
Non c'era bisogno, perché quello che mi manca me lo ricordano tutte le notti i sogni inquieti che faccio,
o i sonni che non riesco a dormire.
E non c'era bisogno perché, si sappia, io i capelli me li faccio rossi comunque.
Perché in fondo da qualche parte bisogna pur cominciare per trasformarsi in guerriera.