"E' colpa mia"

Da Povna @povna
Di tutte le cose strane che fa a scuola, ce ne è una di cui la 'povna proprio non vuole liberarsi - e che contribuisce, di anno in anno, ad aumentare la sua fama di persona bislacca, o perlomeno singolare. Capita, di solito, la prima volta che succede qualcosa in classe: un episodio di insubordinazione spicciola, in cui il colpevole è noto a tutti, ma non vuole confessare. L'appassionata conoscenza di una serie di romanzi (da Piccole donne ad Anna dai capelli rossi) consente di solito alla 'povna di ottenere un'ammissione indolore e tutto sommato rapida. Ma dopo comincia il difficile, perché arriva il momento di parlare. Lei si mette come sempre comoda, seduta sulla cattedra, e poi, con soave pacatezza, illustra agli alunni - che la guardano nel migliore dei casi (i Maculati) con espressione di stupita meraviglia, nel peggiore (l'Orda) di incoercibile disprezzo - la bellezza profonda e inconfondibile di ammettere, orgogliosamente: "è colpa mia".
"Perché, vedete" - incalza caparbia - "voi giustamente iniziate, adesso, a chiedere a gran voce la vostra indipendenza. Ma la libertà passa anche da questo: riconoscere di avere agito da soli e per scelta, e non perché ci si è fatti vivere da qualcun altro, che magari ci ha fatto sbagliare".
Passata la dovuta raffica di scetticismo e battutacce, loro, di solito, ci tornano sopra e ci ripensano. Ma - per quanto la memoria tenti la 'povna con nostalgia e ricordi - non è su questo che si vuole soffermare. 
Perché in questi mesi estivi - è un po' la prassi - la 'povna non voleva parlare di politica: e però ci sono cose, e gravi, e tante, che, malgrado ogni fioretto irenico, la fanno riflettere, e sbottare. E pensa, la 'povna, che quell'ammissione di colpa e consapevolezza, farebbe bene, in questi giorni, un po' a tutti e specie a chi ci governa. E che sarebbe anche l'ora di diventare grandi. Pensa che è stufa di sentire la ripetizione di un copione che ritorna, uguale a se stesso, come un perverso Giorno della marmotta. E che sarebbe anche l'ora di diventare grandi. Così, per questa notte, le sembra di sentir cantare la voce soltanto del pessimismo dell'intelligenza; che sussurra, infaticabile: "ce lo siamo meritato". Ognuno in attesa di una salvezza che deve arrivare sempre e solo dall'esterno; cittadini di un paese che non ammette mai una testa, un'identità, una ragione, un colpevole. Figli, tutti quanti, ciascuno la sua parte, di un'identica Italia cialtrona.

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