Ovvero: dell'arte sottile della discrezione
Dal dizionario etimologico
ELEGANTE: dal latino e-ligere, "scegliere".
Nel capitolo XXXII del romanzo Emma, di Jane Austen, la protagonista, dopo aver fatto conoscenza con l'odiosa signora Elton, esprime su di lei un giudizio davvero poco lusinghiero:
A essere sincera, non le piaceva. Non voleva rivelarsi affrettata nel criticare ma sospettava che non vi fosse in lei vera eleganza: - disinvoltura, non eleganza. - Era quasi certa che, trattandosi di una giovane donna, di una estranea, di una sposa, vi fosse in lei troppa disinvoltura. La sua figura era piacente; il viso non privo di bellezza; ma né i lineamenti, né l'aspetto, né la voce, né i modi erano eleganti. [1]
Nelle note, Anna Luisa Zazo non manca di sottolineare:
"Eleganza" (elegance) è una parola chiave nel vocabolario di Jane Austen. Non indica, o non indica quasi mai, la ricchezza, nell'accezione ha in espressioni quali a life of elegance; e non indica soltanto la grazia, il buon gusto nel vestito e nei modi; ma, attraverso questa forma esterna di eleganza (nell'abbigliamento e nel portamento), allude a una forma interna di equilibrio, di pienezza, di giustezza, di armonia che rappresenta chiaramente per l'autrice un ideale, e che si esprime con chiarezza, usata tra l'altro in Persuasion, "elegance of mind", "eleganza della mente". La condanna di Emma nei confronti della signora Elton è di conseguenza molto più severa - e di natura più "morale" - di quanto potrebbe apparire. [2]
Questo stralcio letterario ha suscitato il mio interesse non solo per la bellezza della prosa austeniana, ma anche perché, in questi tempi di dolorosa confusione, mi è venuto spontaneo raffrontarlo con la situazione attuale. Per proseguire con il paragone suggerito da Emma, potremmo osservare infatti che, se la signora Elton e suo marito rappresentavano, nella piccola cerchia di Highbury [3], una sgradita eccezione, oggi simili "mostri" sono a tal punto aumentati di numero da conferire alla società attuale un'impronta deplorevole.
L'aggettivo "elegante" deriva dal latino eligere, ovvero "scegliere": ciò implica (dagli aspetti più frivoli a quelli più squisitamente morali, cui alludeva Emma Woodhouse nelle sue riflessioni) la capacità, da parte del singolo, di compiere sempre la scelta più adeguata alle circostanze.
Dote, quest'ultima, che tende a essere vieppiù rara, in una società massificata come quella in cui viviamo. Non scegliamo (non realmente!) le nostre acconciature, non scegliamo i nostri abiti (le discutibili mise che vediamo sfilare per strada, in autobus, sul lavoro ne sono una grottesca testimonianza) così come non scegliamo i nostri modelli comportamentali e culturali, lasciandoci guidare, in ogni aspetto della nostra vita, dal colorato chiasso dei mass-media.
A tale proposito, credo che abbia ragione l'amico e artista Alberto Raiteri, quando afferma che la mancanza di buon gusto è un autentico crimine e come tale andrebbe sanzionato.
Non è un atteggiamento snob. E' sufficiente osservare e osservarci: siamo rumorosi, facili all'ira, inutilmente appariscenti. Berciamo i nostri fatti più intimi al cellulare in qualunque modo e in qualunque luogo; condividiamo sui social network i segreti della nostra personalità e della nostra vita privata.
Umberto Galimberti definisce questo fenomeno "pubblicizzazione del privato":
[...] in una società consumista [...] si propaga un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, tra uomini e merci, il mondo è diventato una "mostra", un'esposizione pubblicitaria che è impossibile non visitare perché comunque ci siamo dentro. [4]
L'imposizione a percorrere questa "fiera degli orrori" e la libera scelta insita nel già menzionato verbo eligere sono, com'è evidente, in netto contrasto; e il parallelismo della signorina Woodhouse fra l'esteriorità dei modi e dell'abbigliamento da un lato e la levatura morale di un individuo dall'altro risulta meno ozioso di quanto parrebbe a un lettore poco attento.
L'unificazione fra "uomini" e "merci" esposta con chiarezza da Galimberti dimostra come, perduta ogni eleganza (ogni possibilità di scelta), tendiamo a omologarci, adottando passivamente - privati del nostro spirito critico - usi, tendenze, idee.
L'imperativo non è (più) "scegliere", bensì " apparire": per farlo, siamo disposti a (s)vendere il nostro corpo, trasformandoci in bambole sciocche e siliconate o in modelli maschili muscolosi quanto stupidi; o, in alternativa (qualora il corpo dovesse deluderci, non rispondendo a determinati canoni), a gettare in pasto all'arena, la nostra interiorità, dove - ricorda Galimberti -
è custodita quella riserva di sensazioni, sentimenti, significati "propri" che resistono all'omologazione. [5]
Molte trasmissioni televisive ne costituiscono uno squallido quanto significativo esempio.
Tutto ciò che non è frutto di un'attenta valutazione; tutto ciò che è affrettato, "leggero", comune, strillato, ben distribuito e capillarmente diffuso è dunque (prima che risibile nei suoi effetti) pericoloso per la nostra intima sopravvivenza. [6] Le chiacchiere fini a se stesse, la mancanza di discrezione, sono abitudini da evitare.
Al contrario, saranno da incoraggiare tutti quegli atteggiamenti (emblema di una nuova elegance) capaci di condurre a una (nuova) consapevolezza. Mi vegono in mente, di primo acchito: le amicizie non affrettate, le chiacchiere meditate, la cultura dell' essere anziché dell' apparire (che va di pari passo con le parole ed espressioni "decrescita", "intelligenza ecologica" [7]); l'attesa e la solitudine (spegnere il computer e il telefonino, di tanto in tanto, non potrà farci così male; quantomeno, riscopriremo che tenere il cellulare sempre e comunque acceso - al ristorante, in treno, perfino in bagno... - è un gesto di grande maleducazione); la lettura e la meditazione al posto dell'ostentazione di una cultura molto di tendenza e poco sincera...
Potrei andare avanti parecchio, con queste associazioni di idee. Per ora mi fermo qui. Tediare oltremodo i miei lettori non sarebbe elegante...
Note
[1] J. Austen, Emma, 1815, trad. it. Emma, Mondadori, Milano 2002, pp. 270-271.
[2] Ivi, p. 494.
[3] Per chi non abbia mai letto Emma: Highbury è la località di campagna (immaginaria) in cui è ambientato il romanzo.
[4] U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003, p. 86.
[5] Ivi, p. 87.
[6] La rete è stata spesso impietosa contro alcune moderne "mostruosità": si pensi a blog come Le Malvestite o a siti come Nonciclopedia.
[7] A tale proposito si veda appunto il recente saggio di Daniel Goleman Intelligenza ecologica, edito in Italia da Rizzoli.