E' difficile

Da Silvia
E' difficile pensare che da quando hai visto e sentito nascere il tuo primo figlio, sono cambiate un sacco di cose. In realtà l'ho più sentito che visto nascere, una spinta, l'ennesima, senza sapere che potesse essere quella definitiva, l'ultima, e poi quella specie di pesce enorme che sguscia via, una scivolata verso l'aria, un balzo in superficie, ed ecco che il pesce che ti nuotava dentro giorno e notte, agganciato al tuo battito, al tuo sangue, alla tua carne più interna, è fuori, è altro da te. Ed ecco che intravedi una testa, dei piedini, un rantolo vitale che irrompe in un pianto strillato e la tua pancia si placa, il dolore svanisce, così concreto ed insopportabile poco prima, così lontano ed ovattato poco dopo. L'ho sentito nascere il mio primo bambino e l'ho accolto con tutta me stessa, come diversamente non avrei mai saputo fare. La sua pelle, il suo odore, i suoi movimenti, una piccola smorfia, hanno catturato ogni mio pensiero, impegnato qualsiasi momento dei miei giorni e delle mie notti. Mi ritrovavo in salone alle tre di notte, ad allattarlo, a guardarlo, a cambiarlo e massaggiarlo ed il tempo scorreva fluido come il buio fuori che poi diventava l'alba di una nuova giornata, ed io ripartivo inarestabile. Le sue parole erano un pugno pieno di emozioni nel mio stomaco, la gioia più pura, quella vocina dolce e piccola, propria piccola come quella di certi cartoni animati irresistibili. Poi ho sentito nascere il mio secondo bambino, un'altra scivolata, di nuovo quel passaggio liquido ma corposo, quell'andare verso la luce, il mondo, e di nuovo quella gioia stordente, una gioia meno pura però, una gioia inquinata dalla preoccupazione imparata con il primo, una gioia da singhiozzare, una gioia che sembra una paura tremenda. Presto arriva la stanchezza, le notti mi limito a prenderlo e ad allattarlo direttamente nel lettone, accoccolandoci uno dentro l'altro, quasi non un adulto che accudisce un piccolo, ma due anime che si accudiscono insieme. La stanchezza, gli spaventi, i dubbi si sovrappongono sulla mia pelle di madre e formano una scorza, come una sporcizia resistente, una sozzuria testarda. Improvvisamente mi accorgo che non potrò proteggerli, mi rendo conto che non posso far altro che amarli, che quella risoluta idea di fare in modo che non succedesse niente di male ai miei bambini, fosse un pensiero sciagurato. Io posso solo amarli, spingerli fuori di me per farli vivere e continuare ad amarli.basta. Come faremo a proteggerli?mi chiese un giorno un'amica vera. Non lo faremo, non ci riusciremo, faremo come i nostri genitori: hanno lasciato che vivessimo, che fossimo esposti a qualsiasi tipo di dolore, alla gioia più intensa, alla malattia più inaspettata, all'incidente più devastante, all'amore più cieco, alla paura paralizzante, alla noia, al disgusto,alla lezione più eccitante di tutte. E' difficile ora, madre da sette anni, rendersi conto che i figli non mi bastano per sentirmi felice, ed ammettere questa cosa a me stessa mi duole come una coltellata presa in piena pancia. Mi aspettavo che diventare madre potesse essere il viatico per il paradiso, ma oggi non lo credo più. I miei figli sono la mia vita, l'amore più profondo, la sensazione più radicale e sconvolgente che mi sia mai capitata, ma questo non fa di me una donna felice per forza. Ho scoperto che ho ugualmente bisogno di sentirmi bella, di ridere con le amiche fuggendo per un fine settimana, che ho voglia di sentirmi amata da un uomo in maniera pulita e spontanea, che desidero diventare ancora qualcos'altro da quello che ho costruito finora, mi sono accorta con sgomento che al parco con loro, a volte mi annoio, che parlare solo di come si addormentano o di cosa mangiano, mi deprime,che avrei bisogno di un confronto con altri adulti, di una discussione che non tocchi l'iscrizione alla materna o le merende da mettere nello zaino, ho scoperto che a volte mi tapperei le orecchie per non sentire le loro urla, per godere di un pò di silenzio, che salterei la riunione con le maestre per scappare dentro un cinema e piangere per un nuovo film, che non ho la forza per aspettare tre ore seduti nello studio del pediatra, ma che comprerei quintali di biancheria intima per giocare ancora un pò con il mio corpo prima che invecchi troppo e che smetta di divertirmi. I passi che ho fatto come madre, non so in che direzione sono andati fino ad oggi, a volte mi sembra in avanti, a volte così indietro da vergognarmi di essere definita tale. Il senso di colpa si mischia alla sorpresa di scoprirmi curiosa di altre realtà, la paura di stare perdendo qualcosa di prezioso delle loro vite,si confonde con quella di stare perdendo qualcosa della mia di vita. E' difficile scrivere questo, essere a lavoro e pensare ai loro visi dietro ai vetri della scuola, non sapere cosa passa dentro le loro teste, come sono stati oggi in questo giorno d'autunno, fra i banchi ed i grembiuli, avvertire una nostalgia incredibile, inconsolabile ed allo stesso tempo il bisogno di prendere aria. Difficile accorgersi che ad un certo punto avevo finito le storie da raccontare loro, che non avevo più l'entusiasmo che sarebbe obbligatorio passare come un testimone durante la staffetta, a quelli che corrono nella tua stessa squadra. Difficile credere che la ricchezza con cui avrei voluto sommergerli, non mi arrivava da nessuna parte e perciò non riuscivo a riversarla sui loro cuori giovani ed inconsapevoli. Difficile sentirsi travolgere dalla rabbia, dall'impossibilità di gestire, dal non riuscire a calmarli, a mettere fine ai loro litigi, ai loro capricci, difficile non sapere più dove diavolo sia finita la pazienza, la calma, la serenità. Difficile riconoscere la propria voce alterata, le parole urlate a denti stretti, le minacce, l'onda violenta che ti invade e ti trova molle ed incapace di opporvisi, Anche io guardo fuori dalla finestra cercando di ritrovarmi, non solo come madre, non solo come professionista, non solo come essere umano, ma come Donna. Tutta. Se non ci fossero le nuvole...

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