Al di là della parentesi, la notizia interessante nella vicenda Fourie è che il sudafricano aveva un piano B, almeno dal lato teorico: fare l'insegnante dopo il forzato ritiro. In questi giorni hanno annunciato l'addio al rugby anche l'estremo gallese Morgan Stoddart (28 anni), sempre a causa di un infortunio al quale non si è riusciti porre rimedio. Succede spesso, di assistere a ritiri forzati e prima del dovuto: la danza è sport di contatto, mica il rugby, lì è collisione (Francois Pienaar dixit). Data comunicazione, cala il silenzio e affiorano i problemi.
Diverse ricerche hanno tentato di far luce sul post e vengono riprese dalle associazioni dei giocatori. Nell'ottobre 2011 ad esempio la New Zealand Rugby Players Association ha monitorato 123 casi, metà dei quali riguardavano ex All Blacks. Molti di loro hanno dovuto fare i conti con abuso di alcol e altre sostanze, aggressioni e problemi con la legge all'interno della vita di coppia. Un terzo di chi si ritira forzatamente dalla palla ovale affronta difficoltà economiche e parecchi attraversano una fase di depressione: il loro status sociale è cambiato, smarriscono l'identità pubblica che li ha caratterizzati e subentrano ansia e stress.
Senza dubbio incide l'aspetto finanziario, per lo più applicato all'epoca del professionismo: dai contratti che assicurano entrate al non pensare a cosa potrebbe accadere nell'eventualità in cui gli affari (la carriera) andassero male. In un'isola ad alto tasso rugbistico come la Nuova Zelanda, dei molteplici effetti se n'è occupato direttamente Steve Tew, il chief executive della federazione. E tanto Down Under quanto alle latitudini boreali le federazioni stesse preventivano corsi e sostegni per gli atleti obbligati al forfait.
In Irlanda hanno calcolato che il 41% dei rugbisti è destinato al ritiro per infortuni e l'ex prima linea Bernard Jackman ha raccontato l'esperienza dal suo punto di vista, di un ex internazionale e di professionista ad alti livelli, ricordando un aspetto che potrebbe sfuggire facilmente: si entra in accademia a 18 anni, si abbandona l'attività mediamente attorno ai 31 e quei 13 anni passati da professionisti non svaniscono in un batter d'occhio. Confronto diretto, con un altro sport di collisione come il football americano: l'80% tra chi è uscito di scena è passato per bancarotta o comunque difficoltà economiche e divorzi nell'arco di due anni dal ritiro, mentre tra i cestisti il tempo medio è di cinque anni (dati raccolti dalla rivista Sport Illustrated nel 2009)."Retirement for a pro rugby player represents a major change in lifestyle and going from hero to zero", è il riassunto di Jackman. Incassare il colpo non è facile e c'è chi è bravo e chi no. E un conto è farlo avendo onorato appieno la carriera, finché è stato possibile, un altro essere costretti a salutare il lavoro che tanto piaceva perché il fisico non ha retto.