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Ad intervenire in termini di destrutturazione, come noto, è stata la formazione del governo tecnico di Mario Monti che ha obbligato le forze politiche di tutti gli schieramenti ad assumersi, anche malvolentieri, la responsabilità di sostenere le iniziative 'eccezionali' ma anche quelle incisive e di modificazione riformatrice - qualcuno ha parlato di un vero e proprio abbrivio di "riformismo" - che il governo di emergenza nazionale ha assunto e continuerà ad assumere.
Le forze politiche, innanzi alla oggettiva novità, reagiscono come sanno e come possono.
Berlusconi, dopo l'imbarazzo ed il silenzio iniziali, è arrivato, come nel suo stile, ad attribuire a se stesso il merito della nomina di Monti, quasi a tentare di mettere il cappello, come si dice. Noncurante, tuttavia, della contraddizione di dire, contestualmente, che il rapporto politico con la Lega continua e continuerà; così da essere smentito subito dal Calderoli, preposto alla difesa della integrità leghista.
Il Pd con Bersani ha opportunamente spiegato di non ritenere il governo Monti un governo amico - di sinistra o di centrosinistra - ma neppure un governo avversario di destra o di centrodestra; certamente un governo diverso rispetto al quale intrattenere dialogo e confronto nel merito dei provvedimenti specifici.
Per il terzo polo, in particolare l'Udc con Casini continua a sostenere la validità e le capacità del governo tecnico e a fare le fuse a Monti o a Passera ovvero ad altri componenti dello stesso in vista di futuri aggiustamenti e preposizioni. Chi, da non politico dichiarato tuttavia capace di dare risposte politiche e rispettose dei vincoli istituzionali, ha saputo usare parole di verità, ancora una volta, è stato Mario Monti. Ci ha ricordato che, al massimo fra un anno (primavera 2013), il governo dovrà cessare le funzioni in quanto si concluderà la Legislatura ed in un sistema democratico, seppur in un momento epocale e di difficoltà, si ricorre fisiologicamente alle urne per il rinnovo del Parlamento. Il nodo è tutto qui e non è da poco.
Come gli attuali schieramenti politici affronteranno l'appuntamento democratico? Il Pdl riuscirà a sopravvivere alla propria originaria formazione carismatica, strettamente collegata al leader unico ed indiscusso? I segnali di sfilacciamenti palesi ma anche sotterranei sono tanti: si pensi al delfino siciliano Miccichè che ha ripreso le sembianze di leader di un partito meridionalista e neoautonomista tanto da essere ripreso dalla tentazione di dialogo con Lombardo e Mpa. Per non dire dei colonnelli dell'ex An che sembrano volere dimostrare in ogni dichiarazione pubblica il loro ruolo imprescindibile, alla ricerca di una identità perduta. Dai sondaggi recenti, il primo partito italiano sarebbe il Pd che dovrà affrontare la temperie del rafforzamento della propria identità riformista e democratica per qualificare la progettualità governativa ma anche di dialogo e di confronto, soprattutto con la società reale, così da evitare la tentazione tipica del politichese di anteporre le scelte di alleanze all'elaborazione di progetti di governo definiti in sintonia con la società vera e i problemi che dalla stessa sono percepiti.
Il terzo polo che, legittimamente, aspira ad essere il primo fra i poli possibili, sembra preso dalla frenesia delle mani libere, che corrisponde specularmente alla logica delle alleanze a prescindere dai programmi. C'è un ulteriore scenario capace di complicare, se possibile, lo scenario: le prossime elezioni amministrative che, in questo clima di fibrillazioni, finiscono con l'assumere ancora di più valenza politica. Il Pdl senza l'alleanza con la Lega al Nord rischia un impatto disgregatore mentre la Lega attende il momento propizio, a fronte delle evidenti ed inevitabili spaccature interne, per qualificarsi quale partito capace di ergersi a tutela del territorio settentrionale e così superare il Pdl.
In Sicilia si assiste ad una confusa proposizione in campo delle forze politiche. Non basta dire che le elezioni per il sindaco di Palermo hanno una valenza amministrativa. Si tratta invero della stessa città capoluogo di una Regione che affronta, con tante contraddizioni e vistosi limiti, una esperienza di governo mossa dall'intento di spezzare la primazia del centrodestra (quello del 61 a zero) chiamando a raccolta attorno ad alcuni specifici temi riformatori le forze politiche risultate all'opposizione. È emblematico al riguardo che il terzo polo, in Sicilia, sia spezzato in più fronti e posizioni: il Fli governativo, l'Udc fuori dal governo: tattica? Sembra riesplodere il posizionamento di schieramenti piuttosto che la valutazione progettuale. Il Pd a Palermo ricorre alle primarie mettendo in campo posizioni diverse; alcune di esse sembrano piuttosto riprendere vistosamente posizioni che sono antecedenti al governo Monti e mirano a fotografare un momento diverso rispetto all'attuale. Non è, occorre rimarcare, lo stesso processo di Genova dove alla primarie non è prevalsa, giustamente, la proposta interna del Pd, incapace di sintonia con la società reale ed abbarbicato sugli equilibri interni, ed ha trionfato la voce della novità e della sintonia dinamica con la società. A Palermo non sembra registrarsi una novità in sintonia con la società reale non solo nel centrosinistra ma anche nei restanti schieramenti 'grandi': il terzo polo punta ad un candidato di qualità ma accreditato nell'opinione pubblica quale componente dell'area di Cascio che dovrebbe essere il 'vero' candidato del Pdl. Tattica anche questa?
Probabilmente, si tratta di prendere atto che la confusione è alta e la si affronta con gli strumenti di sempre del tatticismo e della forza dei numeri dei singoli componenti, in parallelo con la conta delle tessere e di quel che ne deriva. La società reale sembra assistere sgomenta o distratta.
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