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"E fattela 'na risata". Ecco perché chi vi dice, vi sussurra, vi urla questa frase è un cretino

Creato il 26 agosto 2014 da Romafaschifo

Avremo voluto scrivere noi quelle 10-15mila battute per spiegare il motivo per cui una affermazione del genere rappresenta tutto lo sbagliato dell'approccio italiano - ma sopratutto romano - alla vita, ai problemi, al prossimo, al bene comune, alla qualità. Tuttavia non lo facciamo perché lo ha già fatto qualcuno prima di noi e cento volte meglio di noi. Il bravo e sensibile giornalista de Il Messaggero Mauro Evangelisti, in un articolo uscito nel 2013. Lo ripubblichiamo affinché non si dica che noi non vi avevamo avvertito. Un altro piccolo tassello nel mosaico dell'educazione sentimentale che, presuntuosamente, cerchiamo di trasmettere ai nostri lettori.

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Devi uscire dal parcheggio per andare a lavorare ma il Suv rigorosamente paracadutato in doppia fila, magari pure se vicino c'è un'area libera («ma mio Dio, saranno almeno cinquecento metri...»), te lo impedisce? Eccolo arrivare, bel bello, dopo mezz'ora, il proprietario del Suv che si sorprende che tu sia arrabbiato e risponde serafico: «Ma fattela 'na risata». Provi a usare i mezzi pubblici, ma con tempestività scientifica i treni della B si bloccano di nuovo e se provi a chiedere lumi a un operatore becchi proprio quello che alza le spalle e aggiunge: «Ma fattela 'na risata».

Ecco, quando si parla di romanità, di quanto sia bella Roma e quanto siano simpatici i romani, quando si alimenta un certo stanco e giustificazionista luogocomunismo, forse bisognerebbe partire da questa frase malefica: «Fattela 'na risata». Molto romana. Chi l'ha coniata era in assoluta buona fede: voleva contrastare l'acidità e il nervosismo dilagante nella metropoli sempre più alle corde, voleva dirci che in fondo un sorriso può aiutarci a superare le incomprensioni.

Una filosofia non solo romana, ma quasi latina, cantando e ridendo si dimenticano i guai. Solo che poi negli anni è divenuta un inno alla superficialità, all'insensibilità, ai sempre più carenti desiderio e orgoglio di fare le cose per bene. E allora forse dovremmo cominciare a rispondere di fronte all'indolenza, alla prepotenza e alla supponenza quotidiane: «Sai che c'è? Non c'è proprio niente da ridere».

Mauro Evangelisti (pubblicato qui)

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