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E finalmente Bersani dice qualcosa di gay

Creato il 08 marzo 2013 da Albertocapece

1708261-bersaniAnna Lombroso per il Simplicissimus

L’avessi saputo magari l’avrei votato. L’avessi saputo, che per un inquietante forma di possession Bersani era stato semplicemente “posseduto” da Monti, ma che prima o poi si sarebbe liberato, grazie forse ai cazzotti di un esorcista mascherato o di molti dissensi. L’avessi saputo che non sapeva di essere in campagna elettorale e che adesso, risvegliatosi dal letargo demoniaco, dalla sobria ibernazione, avrebbe sfoderato 8 punti che coincidono largamente con quelli dei candidati inutili. L’avessi saputo che per un misterioso processo di rimozione, un oblio tossico, è pronto a negoziare, dimentico di aver votato il fiscal compact, il pareggio di bilancio, la rinuncia alla sovranità. L’avessi, saputo magari l’avrei votato.

Ma si direbbe comunque che, insieme che dai tecnocrati, sia dominato anche dalla fascinazione del “modello tedesco”, da prendere a esempio nella riforma elettorale, in economia e perfino nelle unioni omosessuali. Tanto che da quella possessione non si è liberato, magari perché c’è in lui una indole al compromesso, tanto più ragionevole quanto più vicino e comprensivo delle “ragioni” di una parte, che si continua a credere, forse per la sua ingombrante pervasività, rappresentativa di una morale e di un pensiero comune e superiore.

Infatti quello tedesco non è un matrimonio: questione di lana caprina si dirà. Ma la strada dell’ipocrita conciliazione si serve soprattutto del rispetto delle forme più che di quello dei diritti. L’istituto tedesco, che si chiama «Eingetragene Lebenspartnerschaft», in vigore dall’agosto 2001, si riferisce solo alle coppie omosessuali, riconfermandone la specialità per non dire “diversità”.
Non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio, pur applicando ai conviventi disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile tedesco per la disciplina del matrimonio. I due soggetti coinvolti devono dichiarare reciprocamente, personalmente e in contemporanea, d’innanzi all’autorità competente, di voler condurre una convivenza a vita e hanno obbligo di assistenza e sostegno reciproco che persiste anche dopo eventuale separazione. La legge, inoltre, assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo ed assistenziale, e conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza. Inoltre, in caso di morte di uno dei partner, al convivente sono attribuiti i diritti successori, come la pensione di reversibilità, il diritto a subentrare nell’affitto e l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dalla coppia. Non riconosce invece ai conviventi il diritto di adozione congiunta. In una prima fase (fino al 2004) non permetteva neppure l’adozione dei figli del convivente, problema affrontato con lungimiranza da un recente parere della Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Anche chi non sia un fan entusiasta delle nozze, non può non riconoscere al matrimonio un significato sociale potente. Possiede una dimensione di diritto civile: le persone sposate ricevono dallo Stato benefici che quelle non sposate non hanno: trattamenti fiscali favorevoli, diritti di immigrazione, di adozione e custodia, esonero di testimoniare contro il coniuge e così via. Ha una sua dimensione “espressiva” e simbolica: due persone che si sposano dichiarano amore e devozione reciproci davanti a testimoni e farlo liberamente è testimonianza costitutiva dell’autodeterminazione e al tempo stesso la società in risposta riconosce e nobilita il loro impegno.
Qui e attualmente uno Stato molto condizionato gioca un ruolo primario: elargisce, conferisce “arbitrariamente” benefici come un agente di riconoscimento e attribuzione di legalità e dignità, autorizza alla celebrazione, con effetti civili, il clero, abilitato a dare al rito la funzione di ingresso in uno status di natura pubblica.

E’ un terreno nel quale morale, civiltà, legalità, legittimità, uguaglianza si muovono sullo sfondo chiamati in causa o rigettati nella penombra per motivi di convenienza elettorale e secondo l’andamento intermittente di alleanze e negoziati.
Così un diritto è ridotto a privilegio legale per beneficiare del quale non occorre dimostrare di essere persone “per bene”: criminali, genitori divorziati che non mantengono i figli, drogati, alcolisti, giocatori, ladri, persone con storie di violenza privata, stupratori, assassini, razzisti, tutti possono sposarsi e poi figliare sotto l’ombrello di protezione dello sponsale, tutti possono beneficiare di questo diritto costituzionale, si… ma a patto che siano di sesso opposto. Né le persone devono in alcun modo condurre uno stile di vita sessuale gradito alla maggioranza per sposarsi. Pedofili, sadici, masochisti, sodomiti, transessuali, possono essere uniti in matrimonio dallo Stato, purché sposino qualcuno del sesso opposto.

Che poi se non sono di sesso opposto, tuttora e qui, devono piegarsi alla liturgia e al rituale perché venga loro riconosciuto il diritto di essere come gli altri e a godere delle stesse tutele.
Eppure la biologia non è più un destino e la soggettività rivendicata non è un assoggettamento dell’indipendenza all’individualismo, allo scomparire del legame sociale a favore di un egoismo sovrano, bensì l’esigenza di una persona libera e responsabile di muoversi in un mondo continuamente trasformato.

Che l’unione tra omosessuali sia annoverata in quegli 8 punti è confortante. Potrebbe avere l’effetto salutare di fare una provvidenziale chiarezza. Fa capire che questi temi non sono marginali, non sono optional trascurabili, quando il catalogo delle discriminazioni e delle disuguaglianze si fa sempre più ricco, quando la diversità assume il senso perverso di una conferma della propria identità, per non dire dignità, minacciata.
Ma bisogna fare di più, uscire dal cauto compromesso. E non occorre entrare nel territorio dell’arcadia morale, basta richiamarsi a una sentenza della Corte Costituzionale che a proposito delle persone dello stesso sesso unite da un legame stabile d’affetto, conclude che “spetta loro il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.


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