25 GIUGNO – Non è erotismo abusato , il loro. E neppure impacciato. È più uno schianto.
I seni svelati delle attiviste di Femen non vogliono che questo.
Indignare e sfinire.
Le loro movenze non hanno niente in comune con le danze conturbanti delle amanti. E forse non sono neppure rivoluzionarie (s)vestite da cortigiane.
Loro sono nude per essere odiate, non per essere amate.
Le tre Femen, condannate a quattro mesi di carcere , dopo essere state arrestate in Tunisia, lo sanno bene. Il loro crimine, urlato dagli avvocati delle associazioni islamiche che hanno voluto costituirsi parte civile del processo, è stato la violazione della “decenza e del pudore”, in seguito al topless di gruppo promosso dalle tre ragazze il 29 maggio scorso, davanti al tribunale di Tunisi.
Si sono tolte la maglietta, nel paese islamico, per chiedere la libertà della loro omologa tunisina, la giovane blogger Amina Sboui, in carcerazione preventiva dal 19 maggio per “profanazione” dopo aver vilipeso un muro del cimitero di Kairuan scrivendo la parola Femen.
La sua minaccia (non, per altro, consumata) di svestirsi davanti alle forze di polizia sopraggiunte, le ha appiccicato addosso, inoltre, anche l’aggravante di “oltraggio al pudore” Due anni e mezzo: questa la condanna per la giovanissima tunisina. Pena giudicata troppo severa a fronte del trattamento privilegiato con condizionale di cui invece già godono coloro che, vicini alle posizioni salafite, il 14 settembre scorso avevano attaccato l’ambasciata americana a Tunisi, perché, hanno detto, era la “sede di satana”.
Mentre Amina sconta la sua pena in carcere, le sue “sorelle “ di topless si difendono dalle accuse. “ Non abbiamo mostrato il seno per causare eccitazione sessuale, la nostra è stata una forma di attivismo”. Ma la risposta del fronte integralista, presente in aula, è stata immediata.
“É proprio l’Islam a onorare le donne e a offrire loro la libertà, non è il topless a garantirla”.
La rabbia della frangia estremista si è spinta fino alla richiesta di aggiungere tra i capi di accusa anche il reato di “attentato alla sicurezza dello Stato” che avrebbe, se fosse stato preso in considerazione, peggiorato di molto la sorte delle ragazze . Ma anche la collera della leader di Femen, Inna Shevchenko, non si è fatta attendere e senza mezzi termini ha precisato che:“se sono così sfacciati da emettere questa condanna contro attiviste europee, possiamo concludere che Amina, come cittadina tunisina, rischi la lapidazione”.
Nella pagina web del gruppo femminista targato ucraina, si sprecano le foto e le riflessioni, sempre animose, che raccontano delle eroine europee trattenute in Tunisia. Pauline Hilier e Marguerite Stern sono cresciute a baguette e laicitè in Francia mentre Josephin Markmann è tedesca., Sono belle, giovani, bianche. E sono ancora convinte, come le loro omologhe nelle piazze a Bruxelles, a Madrid, a Stoccolma che i loro seni siano più forti delle pietre degli estremisti. Ma non solo le autorità islamiche si scagliano contro le ragazze di Femen. Di recente alcune femministe musulmane ( proprio le donne per cui Femen dichiara di lottare) hanno, infatti, esternato sui social network le loro riserve circa l’esuberanza impudica delle colleghe europee.
“Ne abbiamo abbastanza e siamo stanche di sentire donne privilegiate che perpetuano lo stereotipo che le donne musulmane, le donne di colore e le donne del Sud Globale siano sottomesse, inermi e bisognose del progresso -occidentale- “.
Chi si aspettava una condanna così severa dalle donne con il niqab?
Forse nessuno.
Men che meno le ancelle ignude di Femen a cui ora, forse, toccherà rivestirsi.
Miryam Scandola